Twine, il ristorante dei fratelli Dimiccoli porta a Barletta un’idea di cucina innovativa

Il locale si chiama Twine, e to twine in inglese vuol dire intrecciare. Si direbbe che l’implicita allusione a un legame profondo, evocata dal nome, sia una diretta emanazione del senso di appartenenza a un nucleo familiare che caratterizza i due fratelli padroni di casa. In realtà sono giovani imprenditori che hanno il grande merito di gestire la loro attività con tenace dedizione, e con la ferma determinazione di chi pensa di avere sempre qualche cosa da imparare. Per altro con il valore aggiunto di un notevole bagaglio formativo alle spalle: un importante percorso che non ostentano con orgoglio, ma quasi nascondono con ammirevole pudore. Non sono infatti inclini ad adagiarsi sugli allori, al contrario hanno il preciso obiettivo di dimostrare le proprie capacità attraverso i risultati concreti.

I giovani in questione sono i fratelli Vincenzo e Antonio Dimiccoli. Vincenzo proviene dall’istituto alberghiero, e ha fatto importanti esperienze come sommelier in giro per il mondo (soprattutto a Londra); Antonio ha abbandonato la facoltà d’ingegneria per studiare tecniche di cottura e processi di lievitazione, fino a diventare chef e pastry chef. E il tutto si è risolto nella conduzione comune di Twine, un moderno, elegante e frequentatissimo ristorante vineria in pieno centro a Barletta. Dove comunque si avvalgono dell’aiuto della famiglia, e del padre in particolare, a sua volta veterano del settore della pasticceria e della gelateria.

Entriamo dunque nei piacevoli ambienti interni, che coniugano una sensazione di confortevole accoglienza con la snella linearità degli arredi: tra il giardino d’inverno che funge anche da dehors estivo, la luminosa sala da pranzo al piano superiore, e lo spazio dedicato alle degustazioni enologiche. Degustazioni per le quali è opportuno affidarsi a Vincenzo, la cui competenza e le cui proposte spaziano in ambito nazionale e internazionale, bollicine comprese. Mentre Antonio ai fornelli si misura con continue e interessanti sperimentazioni, finalizzate a regalare all’autenticità dei sapori un tocco di delicata raffinatezza, in relazione tanto all’esecuzione quanto alla presentazione. Lo dimostrano, in prima battuta, i freschi aromi mediterranei dell’orata cotta al vapore con crema di carote, pompelmo e crumble di cacao; nonché quelli della patata con crema di crescenza, peperoni in agrodolce e guazzetto di erbe. Per poi procedere con una soluzione decisamente più robusta, e tale da esprimere un carattere deciso e convincente, senza tuttavia ricorrere all’impiego di troppi ingredienti.

È il caso del maialino con salsa kabayaki (una salsa giapponese a base di soia che riesce bene a contrastare la forza della carne di suino), maionese fatta in casa, cipolline e cavolo rosso. Discorso a parte va fatto per due geniali operazioni relative ad altrettanti primi piatti. Si va dall’ironica pastina in brodo vegetale con il parmigiano, che viene mantecata come un risotto (in un primo tempo pensata per il figlio dello chef), fino al capolavoro assoluto degli spaghetti al burro con ostriche francesi e gel di limone. Raffinati dessert, e ottimi prodotti da forno, comprese le fragranti e squisite focaccine preparate dal papà dei titolari.

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