Carotaselvatica, il progetto che porta la cucina d’autore nelle case di Taranto

Nella provincia di Taranto sta prendendo forma un progetto audace e affascinante che porta il “fine dining” (dall’inglese, cucina raffinata) a casa di chi desidera vivere un’esperienza culinaria coinvolgente. Carotaselvatica è il nome di questa coraggiosa iniziativa – da non confondere con un semplice servizio di chef a domicilio – che si configura come un momento di condivisione e scoperta di sapori nuovi e gusti antichi, proposti da Matteo Pettini, chef altoatesino, la cui cucina si ispira al panorama nordico, e Paola Gentile, proprietaria dell’enoteca Per Bacco Jazz Club di Taranto ed esperta di botanica.

Le loro strade si sono incrociate quando, da bambini, trascorrevano le vacanze in un campeggio della litoranea tarantina, poi il destino li ha fatti incontrare da “giovani adulti” con le stesse passioni: la cucina naturale e l’amore per il territorio.

 

LA MISSIONE: RENDERE IL FINE DINING ACCESSIBILE

Cos’è in realtà il fine dining? È un concetto che va oltre il cibo stesso. È l’arte di trasformare un pasto in un’esperienza sensoriale completa, dove la preparazione, piuttosto complessa, dei piatti mira a stimolare la curiosità, il gusto e l’olfatto. Si tratta di accostamenti originali e a volte insoliti, accompagnati da presentazioni straordinarie per la vista. Spesso ed erroneamente, il fine dining è associato a un contesto formale o a una cucina stellata non accessibile per tutti.

La missione di Carotaselvatica è proprio quella di abbattere le barriere che circondano questa esperienza, rendendola fruibile a chiunque, in un territorio conservatore, che fatica ad andare oltre la cucina tipica e confortevole. La sfida è di trasformare la diffidenza in curiosità, portando il fine dining a casa di chi non l’ha mai sperimentato.

 

CUCINA NATURALE E TECNICHE ANTICHE: IL CUORE DEL PROGETTO

La proposta gastronomica si fonda su una cucina indigena, biologica, creativa e a basso impatto ambientale, caratterizzata da ingredienti della tradizione pugliese, come la cipolla di Acquaviva delle Fonti, i ceci neri della Murgia e le alici in capasa. Ingredienti che, in alcuni piatti, si arricchiscono di influenze dal sapore sud tirolese. «Riprendiamo il concetto di territorialità e lo portiamo all’interno delle ricette –, afferma Matteo – adottando tecniche innovative con uno sguardo al passato, ma rivolto al futuro».

Nel menù spiccano le erbe spontanee, raccolte con cura da Paola e Matteo. Da qui il nome Carotaselvatica, una pianta infestante dalle proprietà benefiche che cresce lungo i bordi delle strade e nei campi. Il suo fiore purpureo è ciò che la distingue dalla pericolosa cicuta, un dettaglio che sottolinea l’importanza dell’esperienza botanica.

La scelta del nome diventa così una dichiarazione di intenti, simbolo del legame profondo tra la cucina innovativa e le radici storiche e naturali della Puglia.

 

LA NATURA NEL PIATTO: IL FASCINO E L’ESPERIENZA DEL FORAGING

«Bisogna essere consapevoli del fatto che più dell’80% delle piante disponibili in natura sono commestibili, ma c’è quel 20% che può essere dannoso» afferma Paola, che, con la sua passione per il foraging e dopo anni di formazione in botanica, esplora il territorio tarantino alla ricerca di ingredienti unici per i piatti del menù.

Il bosco offre infinite possibilità: dalla rosa canina per infusi e condimenti alle pigne del pino marittimo, ideali per uno sciroppo; fino alle foglie del fico, che hanno un gusto particolare, più del frutto, da cui si possono ottenere oli aromatici dal colore verde brillante. «Sulle nostre coste – continua Paola – abbiamo chilometri di cespugli di ginepro rosso, una pianta alpina che quando cresce in territori marini, grazie all’influenza della salsedine, assume delle aromaticità e un profumo superlativo».

 

IL MENÙ: UN VIAGGIO SENSORIALE TRA ACIDITÀ E DOLCEZZA

Tra i piatti proposti spicca: il bao al grano arso, con ripieno di crema di cime di rapa e alloro, dove il panino di origine asiatica è reinterpretato in chiave pugliese, grazie alla farina di grano arso macinata a pietra di un piccolo molino familiare di Alberobello; la zuppa di ceci neri della Murgia, funghi cardoncelli trifolati, spuma di latte di nocciola e tartufo nero uncinato della Murgia; la quaglia reale e il mirto selvatico, raccolto sulle scogliere delle coste tarantine; le acciughe in capasa, lardo di suino nero pugliese e sciroppo di pino marittimo, che trae ispirazione dalle æbleskiver danesi; l’alchechengi, con crosta di pane di Laterza e timo di scogliera, una rievocazione del gusto del pane bruschettato, dove l’alchechengi, grazie ad una particolare conservazione, acquisisce le qualità del pomodorino giallo; la cipolla nera di Acquaviva della Fonti, servita come un amuse bouche, la massima espressione del gusto antico pugliese. «L’acidità, tipica della cucina sud tirolese –, conclude Matteo – si ripercuote in tutto il menù degustazione, contrapposta agli antichi sapori pugliesi, dove le note terrose ricordano la crosta del pane cotto a legna, il grano arso e l’odore atavico della brace, mentre il gusto dolce riporta alle note di cacao tostato, caffè e tabacco. Il risultato si traduce in un’esperienza culinaria unica».

 

Photo credit: Southern Sofa Film Factory

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