Michele Biancardi: “In Puglia oltre al Primitivo c’è altro da raccontare sul vino”

Se dovessimo raccontare la Puglia con un vitigno, tralasciando i soliti noti, sicuramente parleremmo di Nero di Troia e dei suoi ambasciatori. E allora facciamolo. È la volta di Michele Biancardi, che dalla Capitanata, ci racconta del vitigno in cui crede, vera e propria bandiera del suo lavoro. Siamo nell’agro di Cerignola, il più grande d’Italia famoso per la cultivar Bella, la gigante oliva da mensa che caratterizza il territorio. È proprio qui che la tradizione conserviera e della viticoltura intensiva da tendone traina, ma non mancano piccoli spazi ameni in cui si coltiva un nuovo modo di vedere e vivere la terra, quindi anche l’uva. Piccole quantità, grandi risultati. Questo è il mood che si respira in cantina da Michele dove, tra canti gregoriani e lunghi affinamenti, il Nero di Troia si fa grande.

Il Nero di Troia qui, vitigno principe, sembra essere parte del Dna territoriale e forse anche delle persone, senza nessuna eccezione per Michele che ha sempre creduto su un prodotto di qualità e altamente espressivo del territorio, sin dai suoi anni di studi in agraria. “Ricordo di aver raccontato di quest’ambizione al mio professore e che, all’inizio, aveva provocato non poco scetticismo. Si, perché il Nero di troia, da sempre bistrattato, non poteva diventare più che un vino da taglio. Inutile dire che si sbagliava – afferma Michele – Ne abbiamo discusso e alla luce delle tante potenzialità riscontrate, quindi mi ha dato fiducia e carica per la mia attività”. A questo punto il giovane agronomo, a studi finiti torna a casa, nell’azienda di famiglia dove l’agricoltura fatta di oliveti e frutta, da sempre è colonna portante.

Con questa voglia di cambiamento inizia una nuova fase che parte da nuovi impianti, passa per la ristrutturazione della cantina destinata all’accoglienza e arrivando a nuove e buone pratiche. “Nel 2007 ho deciso di puntare su nuovi impianti di Nero di Troia – oggi corrispondenti a 5 ettari su 15 vitati in totale – per dimostrare che la Puglia, oltre il Primitivo, ha molto altro da raccontare in fatto di vino”. E così è stato. Michele ha portato la sua idea, quella di un Nero di Troia forzuto sì, ma che non “tinge il bicchiere” – come si dice in gergo – per niente piacione, come è stato definito negli anni proprio l’espressione di Capitanata. Arriva un prodotto franco e diretto, adatto per aprire la mente verso qualcosa di davvero innovativo nel panorama vitivinicolo regionale e non solo. L’unica regola però, mai snaturarsi. Per cui, assieme all’enologo Michelangelo Perrone, Biancardi ha lavorato per trasformare le sue aspettative in realtà.

La parola d’ordine è attenzione e musica. Attenzione verso la preservazione del corredo olfattivo al calice, assicurata dalla criomacerazione per bianchi e rosati, e un piccolo momento di appassimento per i rossi, solo in seguito un utilizzo ragionato del legno. E poi si arriva alla musica. Sì, proprio lei che fa bene al vino “messo a riposo” nella barricaia di cantina riprogettata nel 2014 per poter ospitare meglio anfore e tonneaux mai non meno di 3 o 4 anni prima di arrivare in commercio. “Oltre al classico affinamento mi sono servito anche dei canti gregoriani diffusi giorno e notte in barricaia. Un progetto che ho scelto di portare avanti alla luce di uno studio giapponese che ha dimostrato quanto e come le molecole, a seconda delle onde sonore, cambiassero e si trasformassero. Ho pensato, dato che il vino è fatto anche di acqua, questo potrebbe funzionare e magari, rendere il prodotto ancora più piacevole. Assicuro armonia al mio vino in tutti i sensi”.

Poi c’è la tipicità, aspetto importantissimo in fatto di vini e che oggi tiene banco anche in discussioni meno “romantiche”. Un vino deve essere espressione del suo territorio a tutti i costi. Il Nero di Troia, secondo Biancardi, rispetta questa regola preservando tannicità e forza che, secondo il vignaiolo, è il minimo comune denominatore per essere sempre riconoscibile al calice. “Il consumatore deve identificarlo così, con una tannicità importante da smussare nel tempo a favore dell’eleganza, con un colore che tende a scaricarsi velocemente. Dobbiamo pensarlo come un Barolo. Si, come un Barolo del sud Italia”. E allora possiamo ben dirlo, il Nero di Troia si sta finalmente, prendendo il suo spazio, ma c’è ancora tanta strada da percorrere e la direzione è giusta. “Vedo che molti produttori di Nero di Troia stanno cercando di dare la loro impronta personale al vino, pur sempre rispettandolo e non guardando ad altri modelli. È importante però, che venga sempre preservato il suo charme verso il consumatore che ne deve essere incantato dalla vista fino al gusto”.  Il consumatore, proprio colui che guida il mercato e che guarda sempre più ai prodotti di nicchia. Il Nero di Troia ben si presta a questa opportunità, ma cosa c’è nel suo futuro è, per diversi tratti, ancora un mistero. “Vedo in aumento il numero di bottiglie e di impianti in generale. E anche nel mio presente e futuro vedo ancora più Nero di Troia – conclude Biancardi- Con la nuova etichetta Utopia (un’edizione limitata da 1000 bottiglie di Nero di Troia in purezza) racconto come l’appassimento di quest’uva riesca ad ingentilire il vino senza snaturare le caratteristiche del vitigno in alcun modo. È un prodotto che si posiziona sul mercato degli appassionati consapevoli in cerca di nuove espressioni del vitigno. Ora siamo fuori con la 2017 ed è la dimostrazione di quanto il Nero di Troia possa restare in forma ancora per anni”.

 

 

 

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