Scolìmi, cardoncelli o cardogna comune, le erbe spontanee buone da mangiare

Avete mangiato tanto durante le feste? Probabilmente sì, un po’ tutti, come in ogni periodo natalizio, lo abbiamo fatto. È il momento di recuperare un minimo di forma e allora ci affideremo alle verdure dimenticando i piatti sontuosi ma pesanti e le scorpacciate di dolci e panettoni.

Ce lo chiede la bilancia ma non solo, perché bisogna fare attenzione anche alla salute.

La nostra cucina, però, ci viene in aiuto, perché in quella pugliese hanno un ruolo importante le erbe spontanee. Le più usate in assoluto sono le cicorie, la rucola, i marasciuoli, gli asparagi, le senapi, la paparina, i sivoni, il finocchio selvatico, la borragine, persino i parassiti delle fave come le orobanche o sporchie.

La Puglia è una terra con una cucina molto varia grazie al suo territorio e agli 800 km di coste bagnate dai mari Adriatico e Ionio, pertanto si preparano piatti celeberrimi come le orecchiette con le cime di rapa, le fave con le cicorie, ciceri e tria, i vari pancotti, la tiella di riso patate e cozze, oltre al largo consumo di pesci, molluschi e crostacei.

In questo periodo può venire in aiuto alla nostra dieta una particolare erba spontanea, utilizzata soprattutto nell’area dell’Alta Murgia.

Parlo dei cardoncelli (scolymus hispanicus), da non confondere con l’omonimo fungo cardoncello, chiamati anche cardogna comune, scolìmo oppure cardo spinoso.

Si tratta di una pianta spontanea edule appartenente alla famiglia delle Asteracee che cresce in terreni incolti e che, come tutte le erbe spontanee, ha meravigliose proprietà.

Senza troppo addentrarsi in queste caratteristiche, che sono davvero tantissime, mi soffermo solo su alcune attinenti in particolare all’utilizzo in cucina, quali le proprietà digestive, diuretiche, antiossidanti e persino ipoglicemiche, motivo per cui i cardoncelli possono essere largamente utilizzati anche in una dieta ipocalorica.

In natura si presenta come un piccolo cespuglio a raggi aperti e spinosi che lambiscono il terreno, per cui è necessaria una zappetta o un coltello per recidere la radice a fittone, in modo che il gambo centrale tenga uniti gli steli.

Una volta estirpato, si procede ad un’accurata mondatura, con la quale vengono eliminate tutte le spine.

Il procedimento è semplice ma richiede una certa dimestichezza, perché, usando pollice e indice, si eliminano le spine, senza pungersi, partendo dalla base e tirando fino alla punta, in modo da lasciare puliti gli steli.

Se lavati e messi a bagno in acqua fredda si arricciano quasi a formare una palla, poi vanno lessati per circa un quarto d’ora.

A questo punto possono essere utilizzati in vari gustosissimi modi, ma i vecchi saggi non buttavano via l’acqua di cottura e usavano berla a scopo depurativo.

La maniera più semplice ma ottima per cucinarli è saltarli in padella con della cipolla, aggiungere un uovo sbattuto e, se piace, del pane fritto.

Quella che ritengo una ricetta davvero fantastica è farne un timballo al forno con uova, scamorza e polpa di agnello, oppure salsiccia; ma sono così delicatamente gustosi che possono essere utilizzati con la pasta, ad esempio orecchiette, e magari della pancetta soffritta e un pizzico di peperoncino.

Personalmente li ho provati con ricette da me inventate all’uopo e ne sono stato soddisfattissimo, in particolare quando li abbinai, cucinando in tandem con il cuoco Vincenzo Montaruli del ristorante Mezza Pagnotta di Ruvo di Puglia, con una fetta di caciotta fresca appena gratinata in padella, un uovo in camicia e qualche scaglia di tartufo bianco pregiato.

L’utilizzo più estroso, invece, è stato quando, sfruttando la somiglianza nella forma, li ho abbinati a un polpo piastrato, barbabietola, olive Termiti e paprika affumicata.

Insomma, se vi capita di trovarli in un mercato, comprateli e provateli, perché, comunque li cucinerete, non vi deluderanno mai!

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