L’annata 2023 sarà ricordata come una vendemmia ricca di insidie e problematiche per numerose cantine pugliesi. La peronospora non è l’unico elemento che ha messo in difficoltà gli agricoltori e la produzione di uva “Baresana”, che rischia di scomparire anche a causa degli espianti volontari, infatti, si sta abbandonando questa coltura per far posto a nuove varietà ibride e apirene a più produttive. Le caratteristiche principali di quest’uva sono acini croccanti, di colore bianco-giallo perlato trasparente, dalla buccia sottilissima e di diametro compreso tra 1 e 1,5 cm. Dal sapore dolce e molto fruttato, se ne riconosce la giusta maturazione solo quando il chicco, diventando trasparente, con eventuale tendenza leggermente al rosato, lascia intravedere chiaramente i semini negli acini. Colpisce oltre alla scarsità di prodotto presente nei mercati altro elemento che salta agli occhi è il prezzo elevato con quest’uva viene venduta al kilo, attualmente il prezzo è di cinque euro al kilo.
Il vitigno è capace di grandi produzioni ma si è consolidata la tecnica del diradamento dei grappoli, che permette di ottenere produzioni qualitativamente apprezzabili. Il grappolo, solitamente conico, è di media grandezza (400-500 g) e giustamente spargolo; l’acino è subovale, con buccia sottile, poco pruinosa e pertanto di aspetto traslucido, presenta un’eccezionale croccantezza e consistenza della polpa. I vinaccioli sono piccoli, in numero di 1-2 per acino.
Pur mancando esperienze specifiche nella conservazione post-raccolta, la ‘Baresana’, rispetto alle varietà attualmente diffuse ed esportate, presenta una ridotta conservabilità e conseguentemente scarsa attitudine al trasporto su lunghe tratte. Per questi motivi l’uva baresana resta più adatta ad un consumo locale e nazionale.
A differenza delle uve da tavola convenzionali, la ‘Baresana’ non necessita di ingenti concimazioni, né di profonde lavorazioni del terreno. Viene prodotta utilizzando diverse forme di allevamento: l’antico alberello pugliese (aree marginali della pre-Murgia), la controspalliera (nel nord barese) e il tendone (Adelfia). In primavera si esegue la legatura e la sistemazione della nuova vegetazione e delle infiorescenze, il diradamento dei grappoli, l’eliminazione delle foglie poste nelle vicinanze dei grappoli (allo scopo di favorire l’arieggiamento all’interno dei grappoli), mentre non è strettamente necessaria l’acinellatura (eliminazione dai grappoli degli acini piccoli che vengono denominati ‘corallini’), perché così il prodotto è presentato e conosciuto sul mercato locale. Nei mesi estivi e soprattutto autunnali si effettua la pulitura del grappolo pochi giorni prima della raccolta allo scopo di eliminare gli acini non sani. L’irrigazione è necessaria per conservare la turgidità dei frutti durante la stagione estiva.
Il nome “Baresana”, introdotto con lungimiranza alla fine del 1800 dai piccoli agricoltori per unificare in funzione commerciale la miriade di nomi locali (ad Adelfia ’Duraca’, ad Acquaviva delle Fonti ‘Lattuario’, altrove ‘Sacra’, ‘Roscio’, ‘Imperatore’, ‘Turca’, ecc.), può essere considerato un antesignano dei marchi di origine: “Baresana, ovvero di origine barese”. Infatti, se è vero che la più antica citazione del nome “Baresana” risale al 1892 (Fonseca), nei bollettini ampelografici pubblicati dal Ministero d’Agricoltura, Industria e Commercio sono invece citati o descritti quelli che oggi sono i suoi sinonimi.
È possibile dire che il nome “Baresana” si affermò agli inizi del 1900, conseguentemente all’incremento della coltivazione di uva da tavola in Puglia ed in particolare nella provincia di Bari. A confermare tale ipotesi, nel 1914, il prof. Briganti della Scuola di Agricoltura di Portici, in un articolo sulla rivista Italia Agricola scrisse: «In quasi tutta la provincia di Bari questo vitigno è allevato ad alberello pugliese, senza sostegno, a due branche, ciascuna con uno sperone di due gemme. Per il suo grande vigore si presta bene anche ad alberello a vaso, che consente una più abbondante fruttificazione».