Casa Scesciola, il ristorante incastonato nell’Alta Murgia

Il nome è di origine incerta, ma noi evitiamo di porci dotti interrogativi etimologici, e ci lasciamo conquistare dalla magia della Scesciola. Ovvero della zona più misteriosa di Minervino Murge: un labirinto di case e di vicoli appoggiati in precario equilibrio sul dorso di una piccola altura, mentre tutt’intorno si svolge il panorama aspro e selvaggio della Murgia più verace. Forse qui un tempo trionfavano palazzotti e giardini, oggi tuttavia prevale una complessiva impressione di abbandono, che per un paradosso architettonico si trasforma in un motivo di ulteriore fascino.

Lo sanno bene Rosario Cicchelli e Teresa D’Angella, che in questo quartiere sono letteralmente di casa. Li troviamo infatti nel loro ristorante dal nome emblematico, Casa Scesciola, e scopriamo che alle spalle hanno un significativo percorso come compagni di vita e d’avventura. Entrambi originari del luogo, ed entrambi diplomati all’istituto alberghiero (lui in cucina e lei in accoglienza), possono vantare un curriculum di tutto rispetto, compresa una lunga permanenza in un’importante struttura della Val di Fiemme. Il sogno nel cassetto però era quello del “ritorno all’Alta Murgia”, come è scritto sul biglietto da visita del locale. E per realizzarlo Rosario da qualche anno ha rilevato la gestione di Casa Scesciola, con l’intenzione di avviare un’attività in proprio, ma anche con il progetto di più lungo respiro di valorizzare il suo meraviglioso borgo, e renderlo una meta di attrazione turistica. Non è quindi casuale la scelta di avvolgere gli ospiti in un’atmosfera autentica e casalinga, tra finestre affacciate su uno scenario unico al mondo, e arredi interni che fanno pensare a un’antica abitazione privata.

Se la sala è il regno di Teresa, ai fornelli opera Rosario, per fare risuonare a ogni portata le note della tradizione, magari con qualche tocco di moderna gentilezza. Come nel caso dell’aromatica ed equilibrata freschezza del carpaccio di manzo cotto a bassa temperatura con cipolla al lampone e carote. Mentre il trionfo del territorio è affidato a una lunga serie di intramontabili classici, che raggiungono il loro apice con le ottime orecchiette con crema di cime di rape, mollica di pane e peperoni cruschi. Senza tuttavia sottovalutare l’importanza delle olive fritte con il peperoncino, della vellutata di fave con cicorie e mollica di pane, e dei perfetti lampascioni fritti con il vincotto e con il tocco di classe dell’aggiunta del gel di mele, che serve a stemperare l’intensità del risultato complessivo.

È comunque evidente che lo chef riesce anche a misurarsi con preparazioni più raffinate ed elaborate dal punto di vista delle tecniche culinarie, e a risolverle con mano sicura. Lo dimostrano i tubetti con vellutata di zucca, caciocavallo, salsiccia sbriciolata e polvere di olive nere; o la magnifica guancia di vitello cotta a bassa temperatura con bietole e patate, e impreziosita dal sapiente impiego del fondo di cottura. Si chiude con lo strudel accompagnato dalla crema diplomatica, forse un omaggio alle trascorse esperienze in Trentino. La selezione enologica tende legittimamente a promuovere i prodotti (anche naturali) della regione, ma non è priva di notevoli aperture nazionali.

 

 

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