Quanti sono gli chef pugliesi alla conquista del mondo? Ovunque si giri il mappamondo, spunta un nome nuovo. Per esempio quello di Andrea Camastra, ormai una solida certezza nel panorama gastronomico polacco. Quarantatré anni, nato a Bari e cresciuto a Monopoli, Camastra si è avvicinato al food per una tragica necessità: il padre, che lavorava in banca, se ne è andato quando aveva appena otto anni, cosicché lui ha dovuto subito rimboccarsi le maniche insieme ai tre fratelli. Il modo più semplice per portare qualche soldo a casa, era dare una mano nei ristoranti della zona. Ed è così che ha cominciato, facendo il lavapiatti, il tuttofare, la mascotte di un posto accanto a casa, da cui bambino poteva facilmente rientrare. Si è poi iscritto all’alberghiero di Castellana Grotte, senza smettere di lavorare. Ma dopo il diploma premevano altre voglie. Difficile crescere al sud, meglio emigrare: in Svizzera, dove c’era una parte di famiglia; poi in Lussemburgo, Francia e Inghilterra. Tutti ristoranti stellati e non pochi nomi eccellenti. Due su tutti: Iñaki Aizpitarte e sua maestà Pierre Gagnaire. “Sono il figlioccio spirituale di Hervé This”, dice. “Ho preso parte agli ultimi tre libri che ha pubblicato (ma ce n’è un quarto in uscita), fornendo ricette scientifiche. Sono ambasciatore mondiale della cucina Note by Note, per la quale purtroppo il mercato non è ancora pronto. Ci vorranno forse quarant’anni, per uscire dall’accademia”.
In Polonia è arrivato per amore: la prima moglie, insegnante di inglese, era polacca e l’ha portato con sé. Ma lui è rimasto anche dopo il divorzio e si è risposato. Nel 2014 è arrivato il primo ristorante, “Senses” a Varsavia, stellato nel giro di pochi mesi; poi, dopo le chiusure pandemiche, Nuta, aperto negli spazi rimaneggiati dell’ex Atelier di Modest Amaro, anch’esso baciato da una stella lampo. “Avrei potuto riaprire Senses, ma era un locale troppo rigido, intimidatorio, à l’ancienne, mentre io volevo essere friendly, cool, giovanile. Negli ultimi quindici anni la Polonia è cresciuta moltissimo, il paese si è arricchito ed evoluto, c’è tanta innovazione. I ristoranti si sono riempiti di gente che viaggia. Non mancano nemmeno i prodotti, che bisogna saper cercare, ma poi si rivelano fantastici. Nel mio cuore, tuttavia, sarò sempre pugliese. Non manca mai quel piccolo tocco quasi dappertutto, che si tratti di una focaccia fatta in modo diverso o di un panzerotto servito come stuzzichino. Sono innamoratissimo della mia regione, la cito sempre perché mi manca. In passato ho servito una mia interpretazione della pasta con le cime di rapa, ma fra un mese cambio menu e voglio che l’influenza pugliese sia ancora più forte”.
“Da giù faccio arrivare anche qualche ingrediente: le cime di rapa, le cozze, il polpo. Ma uso prevalentemente prodotti polacchi, secondo la tendenza del momento. Ogni estate scendo a trovare la mia famiglia, ma la ristorazione mi sembra molto peggiorata: c’è troppo turismo, tante celebrità hanno comprato case da sogno, ma abbiamo perso un po’ di artigianato. Una volta mangiavi benissimo dappertutto, mentre negli ultimi tempi ho avuto tante delusioni in posti anche spettacolari, dove ho trovato i pannelli in cinese e in russo, con prezzi da capogiro. Spesso questi giovani cuochi vogliono cimentarsi con la gastronomia moderna, ma il rischio è quello di perdere il sapere artigianale. Come dico sempre ai miei ragazzi, posso insegnare loro a preparare una spuma calda al sifone in tre minuti, ma per un buon pane occorrono tre anni”.