I fratelli Capitaneo, arrivano a Milano e portano tanta Puglia nei loro piatti

“I Capitaneo? Ci sono stato, sono passati anche da me… Fanno una cucina originale, con tanti prodotti pugliesi”. Li presenta così, Andrea Berton, i gemelli del pass. Se c’è un ristorante di cui tutti parlano in questo momento a Milano, è proprio il loro Verso, aperto tre mesi fa nella location più prestigiosa: Piazza Duomo, ormai distretto dell’altissima cucina italiana.

Tutti li conoscono per essere stati il braccio destro e sinistro di Enrico Bartolini, chef più stellato della storia d’Italia. Ma Mario e Remo hanno fatto molto di più, calcando piste mai troppo distanti. Il maggiore Remo, dopo un’esperienza in Costiera, nel 2006 già partecipava all’apertura del leggendario Trussardi alla Scala di Andrea Berton nelle vesti di capopartita alle carni, per poi scalare la brigata fino al ruolo di secondo dello chef Alfio e junior sous-chef. Poi il passaggio a Piazza Duomo quando Crippa aveva una stella, la conquista della seconda e l’approdo al Devero nel 2010. Un sodalizio durato fino a dicembre 2020, sempre in posizione apicale.

Mario dal canto suo ha fatto prima il Quisisana, poi anch’egli il Trussardi, ma da capopartita ai pesci, e il ristorante Cracco di via Victor Hugo con Matteo Baronetto. Dopo un pranzo condiviso alle Robinie, la partenza insieme per il Devero e l’apertura del ristorante di Bartolini a Lugano. “In pratica in Puglia non abbiamo mai lavorato, tranne qualche banchetto quando eravamo giovanissimi. Nostro padre era direttore d’albergo in un cinque stelle, dove si tenevano eventi e matrimoni”.

Le radici infatti sono a Foggia e nel menu si sente. “Ma non è stata una scelta deliberata, non vogliamo fare cucina pugliese. Anzi potremmo dedicare una degustazione alla Valtellina…”, scherza Mario. “È successo che nel primo menu ci siamo trovati a pescare ingredienti pugliesi, senza rendercene conto. E anche nel prossimo, che sta partendo, non mancheranno. Per esempio i vegetali che ci procura Guido Botticelli, il nostro selezionatore, che settimanalmente ci segnala prodotti dalla durata spesso lampo, non oltre i quindici giorni. In modo che riusciamo a impiegarli. È anche un modo per tirare fuori il carattere e la personalità dell’artigiano, senza pescare dall’industria, ma da chi lavora col cuore. Adesso per esempio c’è l’asparago bianco di Mambrotta, che serviamo con gamberi e cedro; di pugliese il limone del Gargano, i marasciuoli, un’erba spontanea della famiglia delle senapi, che abbiniamo con lo spaghetto al granchio nel piatto forse più venduto. E ancora le carote di Polignano, che stanno finendo, la silene e i cardoncelli, intesi non come fungo, ma come cardo molto spinoso”.

E Remo: “Sono ingredienti che abbiamo conosciuto prevalentemente dalla cucina femminile e regionale, quella di mamma Lucia e delle nonne, maestre di orecchiette al sugo di agnello e cavatelli alla rucola selvatica. Anche se a volte non erano utilizzati nel modo ottimale. Il cardoncello per esempio viene servito stracotto nelle uova; quello che stiamo provando a fare, senza appuntarci medaglie, è valorizzarlo, scottandolo velocemente e glassandolo con i peperoni di Senise. Dove le mamme mettono il cuore, noi cerchiamo di aggiungere il pensiero che viene dalle nostre esperienze. Nel nord della Puglia si cucina tanto vegetale, e noi, pur non avendo piatti vegetariani, su richiesta dell’ospite possiamo predisporre anche percorsi vegani. Poi la nostra familiarità con il gusto amaro è in sintonia con la spinta di tanti grandi cuochi italiani, mi viene in mente Lopriore. Con Enrico condividevamo tutto; adesso siamo due pugliesi in cucina, quindi c’è qualche ingrediente più di prima, quando era preponderante l’influenza toscana, altra cucina molto diretta, di sostanza e carattere. Con lui cercavamo di snellire certi gusti marcati”.

Prosegue Mario: “Abbiamo scelto il nome Verso perché siamo due fratelli dal temperamento peculiare, che hanno deciso di unirsi per andare in un’unica direzione, conciliando estrosità e rigore. E anche perché la cucina, totalmente aperta, è diretta verso gli ospiti dei tre tavoli, che chiamiamo ‘monoliti’, un po’ pass e un po’ chef table. Quindi abbiamo messo un punto a ciò che abbiamo fatto prima per scrivere una storia tutta nostra, lavorando sulla simbiosi che ci lega. Vogliamo che il pensiero sposi la materia prima, da lì vengono l’ispirazione e il gusto. A volte io creo il contorno e Remo la pièce, altre volte il piatto è suo e io intervengo sull’estetica, o viceversa. Per esempio lui ha voluto le barbe di capasanta cotte come la trippa e io ho finito il pentolino con un’emulsione leggera allo zafferano, tipo crème brûlée. Ma vanno forte anche l’agnello pugliese di Michele Varvara e l’animella di vitello con sedano rapa cotto sui carboni, bernese al caffè e ricci di mare. Lavoriamo molto con la brace e ogni tanto chiediamo qualche consiglio a Errico Recanati. Ci piace l’idea di utilizzare uno strumento ancestrale con guizzi contemporanei, talvolta come mera fonte di calore, talaltra per aromatizzare”.

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