I falò per la festa di San Giuseppe invadono le strade di Noicattaro

In Iran i fuochi si accendono il mercoledì precedente il Nawruz, l’avvento della primavera secondo il calendario persiano. Quest’anno sono diventati simbolo di libertà, a cui sempre più iraniani – soprattutto i più giovani – aspirano nel grande Paese tenuto prigioniero da sacerdoti oscurantisti.

In questi stessi giorni anche in Puglia ardono fuochi in molti borghi, dove per fortuna la libertà non va reclamata: almeno quello. Calore, purificazione e la fine dell’inverno. Una tradizione che nel tempo è stata coniugata con la ricorrenza cristiana che celebra San Giuseppe.

Numerose le “fanove” di primavera che accendono i cieli della notte pugliese: da quelle di Casalvecchio, Bovino, Serracapriola e Faeto nella Daunia, a quelle sui primi contrafforti della Murgia Barese, a Santeramo in Colle e Acquaviva delle Fonti. Qui, il secondo martedì di marzo, quello successivo al “martedì della Madonna” (di Costantinopoli), si accende una grande “fanova” in piazza dei Martiri.

Sabato 18 marzo saranno accesi anche i falò di San Giuseppe di Noicattaro. Quest’anno, promettono gli organizzatori, i fuochi saranno davvero speciali. Il piazzale della Chiesa madre, largo Sacro cuore e largo Pagano sono i luoghi in cui arderanno le cataste di legna, per “celebrare – scrivono gli organizzatori della parrocchia di Santa Maria della Pace – la forza creatrice della fiamma che rigenera e rinnova, bruciando l’umana miseria”.

Il fuoco che annuncia e propizia la primavera segnerà dunque un momento importante di ritrovo della comunità. Ma anche una ulteriore attrattiva per il turismo delle sagre, che richiama sempre più gente.

Noicattaro è un centro agricolo a pochi chilometri a sudest di Bari, noto per la produzione dell’uva da tavola, di cui è epicentro con la vicina Rutigliano. Il 23 ottobre del 1862, pochi mesi dopo la nascita dell’Italia, il borgo di Noja, ancor prima chiamato Noa, fu rinominato Noicàttaro.

Il paese prova a rilanciare la propria immagine con una manifestazione articolata che precede di qualche settimana i riti pasquali: in queste strade, tra queste mura, in un silenzio irreale, si udranno i passi dei crociferi, il clangore sordo delle catene legate alla caviglia, i canti un po’ mesti che accompagnano le processioni della “Naca” e dell’“Addolorata”. E anche quello sarà tempo di fuochi.

E dunque, la vigilia di San Giuseppe, è una sorta di ponte verso le trame della Passione di Cristo. «I rituali nojani del fuoco sono una tradizione che segna l’arrivo della Pasqua. E di essa mantengono il valore di rinascita, che si festeggia in comunità – ha spiegato don Vito Campanelli, parroco della Chiesa madre –. È un appuntamento che unisce e meraviglia grandi e piccini, sempre in uno spirito di fratellanza e aiuto reciproco, come dimostrano riti come quello del Cucniedd». «Un rito di piazza che unisce da decenni questo territorio – ha ribadito uno degli organizzatori, Giuseppe Pirulli -: abbiamo voluto celebrarlo con un abbraccio tra le arti, che simbolicamente rappresenta un abbraccio di pace e di comunità, che si configura con ancora più forza in contrasto ai venti di guerra che soffiano dall’Ucraina».

La festa sarà allietata dalle esibizioni degli artisti di strada, dalla musica (in piazza Umberto I I Cipurridd faranno cantare e ballare) e ovviamente dalla gastronomia. Alla legna sarà appiccato il fuoco alle sette della sera.

A proposito delle cose buone da mangiare, nella circostanza in alcune famiglie si è ancora soliti preparare “u cucniedd” (audace traslitterazione da un dialetto, quello nojano, molto particolare), un piatto della cucina povera realizzato con i residui crudi delle dispense o delle botteghe, di legumi o pasta avanzata, che veniva cotta in un paiolo detto ‘a calaredd’.

Il Municipio ha patrocinato l’evento, dal 2021 riconosciuto dalla Regione Puglia che lo ha iscritto nel Registro regionale dei rituali festivi legati al fuoco. Fatto di cui va fiero il sindaco Raimondo Innamorato: «La nostra adesione al progetto è stata spontanea e immediata, un po’ come l’accensione di questi fuochi: abbiamo considerato che la rete regionale potesse essere il naturale spazio in cui raccontare la tradizione dei falò e, contestualmente, raccontare la nostra comunità e i nostri valori, il nostro paese e il territorio in cui viviamo».

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