Ceci lisci di Cassano delle Murge, i legumi antichi dell’altopiano pugliese

Preservare per conservare e far continuare a vivere questo è l’obiettivo cardine dei Presìdi Slow Food, che cercano di riunire i produttori animati da questo spirito di tutela per salvaguardare il passato nel presente. Gli ultimi decenni hanno visto un’esponenziale riduzione della produzione dei ceci lisci di Cassano delle Murge, a causa della faticosa tecnica di coltivazione, che difficilmente si adatta alla tecnologia, scoraggiando il mantenimento di questa coltura, tanto da portare al suo inserimento nel Registro delle varietà vegetali con elevato rischio di erosione genetica. Dal 2007 solo grazie al lavoro costante di alcuni produttori è iniziato un percorso di riscoperta di questi legumi antichi.

Nelle terre di Cassano delle Murge e nelle campagne di alcuni comuni limitrofi come: Grumo Appula, Santeramo in Colle, Altamura e Sannicandro di Bari, sempre nella provincia barese, si coltiva un ecotipo locale che ha saputo adattarsi al clima della zona. Gli inverni rigidi e le torride estati non hanno scoraggiato questi particolari esemplari di ceci lisci, che hanno trovato sui terreni calcarei delle Murge il loro habitat ideale. Questo territorio è in parte protetto dal parco Nazionale dell’Alta Murgia, che si estende dall’altopiano e con un susseguirsi di colline e terrazzamenti giunge fino a lambire la costa adriatica.

Già nell’800 proprio la città di Cassano Murge era fortemente vocata alla coltivazione dei legumi, complice la scarsa reperibilità di proteine animali, che ne favoriva un ampio consumo. Nei primi del ‘900 la farina di ceci, secondo dati statistici, si consumava solo a Cassano delle Murge.

I ceci lisci di Cassano delle Murge sono presenti in queste terre grazie al lavoro di alcuni contadini della zona che, ogni anno, selezionavano una parte del raccolto per destinarla alla semina dell’anno successivo. Qual è l’aspetto di questo particolare legume?

Il seme ha dimensioni medio-grandi, forma tondeggiante e una buccia liscia e sottile, come suggerisce il nome. Il colore varia dal rosso mattone al marrone molto scuro, quasi nero, con diverse sfumature.
Tradizionalmente la semina avveniva nei nove giorni prima del Natale. Oggi, i semi si interrano a mano, con la tecnica del solco dritto, tra dicembre e febbraio. La coltura è molto resistente alle malattie e ai parassiti, e non necessita di particolari cure agronomiche né di irrigazione, grazie alla capacità dei terreni di trattenere le acque piovane e rilasciarle gradualmente nei periodi di siccità.
La raccolta si esegue generalmente tra giugno e luglio, quando la pianta ha raggiunto un buon grado di essicazione in campo: le piante si estirpano a mano e si raggruppano in covoni, che poi si battono con l’ausilio di bastoni in legno, detti magghjioccl. Poi, sempre a mano, con l’aiuto di setacci o farnal che si agitano sotto vento, si separa la granella da eventuali residui di pianta, foglie e baccelli. Infine si esegue il trattamento a freddo del prodotto, che consiste nel porre i legumi per alcuni giorni in una cella di congelamento.
Dopo un ammollo di 48 ore, i ceci cuociono in circa 120 minuti in abbondante acqua salata.

La tradizione vuole che, una volta lessati, i ceci si consumino ripassati in padella con cotica di maiale e alloro oppure con cipolla soffritta e peperoncino. Si mangiano anche ridotti in crema o senza alcun condimento, come si faceva una volta, presi direttamente da “jind u’ pignatidde”, il tipico contenitore in terracotta adibito alla cottura lenta vicino al fuoco nel caminetto. In passato, con l’acqua di cottura dei ceci si preparava una bevanda densa e scura, dalla consistenza gelatinosa, definita “caffè dei poveri”, particolarmente apprezzata per le proprietà energizzanti che le si attribuivano.

Oggi a far rivivere questa tradizione ci sono tre produttori appartenenti al Presìdio Slow Food, tutti provenienti da Cassano delle Murge: I Gemmato di Nicola Gemmato, Giovanni Pugliese, Società Agricola Racano Proscia.

Foto Credits: Vito Proscia

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