È pugliese “L’imperatore del Vino”: Tutti i successi del sommelier Alessandro Nigro Imperiale

Il trampolino di lancio è stato il concorso per il migliore sommelier di Puglia: era il 2019 e Alessandro Nigro Imperiale aveva 28 anni. “Si trattava di padroneggiare alla perfezione i disciplinari, i vitigni, i vini; bisognava perfino riconoscere i produttori in foto e poi degustare alla cieca, se non erro uscì un Negroamaro del Salento”. Da allora ci ha preso gusto: è stato suo, lo scorso novembre, il titolo AIS di migliore sommelier italiano, strappato in una finale tesissima al romagnolo Marco Casadei. Il primo di sempre per un pugliese, a riflettere l’adrenalina del sud Italia per un protagonismo mai sperimentato. E in futuro chissà. Di sicuro tanta professionalità non è sfuggita alla prestigiosa guida francese Gault & Millau, che lo ha premiato quale sommelier dell’anno, ovviamente su suolo francese. Un riconoscimento pesantissimo, che finora non era mai toccato a un italiano.

Alessandro, infatti, attualmente veste i galloni dell’head sommelier in Costa Azzurra, presso il Grand Hotel Saint-Jean-Cap-Ferrat, dopo aver sollevato il tastevin presso il Moulin de la Galette, poi quale assistant head sommelier alla Dame de Pic con Anne-Sophie Pic e con lo chef stellato Simone Zanoni e un altro campione AIS, Gabriele Del Carlo, a Le George, dove ha assunto mansioni anche manageriali.

“Quando ho ricevuto la chiamata dal direttore di Gault & Millau, mancavano due giorni al concorso. Mi ha detto che aveva una bella notizia per me. Non riuscivo a crederci e ho chiesto: perché proprio io? Ha risposto che avevo meritato per il mio modo di fare, le emozioni che trasmettevo, la diversificazione della carta. Avevo il vincolo di non parlarne fino all’ufficializzazione, ma dentro di me ho sentito una grande forza”.

Ma Alessandro è qualcosa di più di un sommelier da ristorante, anche se la scelta della sala, giura, è per sempre (“Ho deciso nel 2017, quando lavoravo in entrambi i ruoli. In una cantina assaggi solo il tuo vino, manca il rapporto col mondo esterno; qui al ristorante invece incontro ogni giorno clienti da tutto il mondo, è come una formazione continua”). Nel suo curriculum brilla la laurea in viticoltura ed enologia presso l’Università di Foggia, ottenuta con una tesi sugli aspetti critici delle fermentazioni spontanee nella produzione di vini naturali, mentre frequentava anche l’Institut des Sciences de la Vigne et du Vin di Bordeaux. Cosicché ha lavorato in cantina sia per Stefania che per Emidio Pepe, per la tenuta sudafricana Villiera Wines e in Languedoc Roussillon per Domaine Grier.

Sei figlio di una coppia di contabili. Come hai scoperto il vino?

In casa mia non si beveva, solo mio nonno si versava ogni giorno un calice di Cacc’e Mitte di Lucera. Quindi ho scoperto il vino in una trattoria, nel classico lavoretto del fine settimana per l’argent de poche, come si dice in francese. Mi volevano a tempo indeterminato e ho detto sì: mezza giornata lavoravo e il resto del tempo studiavo all’Università. Facevo eventi, conoscevo colleghi e produttori, mi muovevo molto.

Il resort dove lavori ha sei diverse carte dei vini, che curi personalmente: oltre al ristorante stellato, il bistrot chic, il ristorante da piscina, il bar, gli eventi, il room service. Quanta Italia e quanta Puglia vi sono rappresentate?

Sono persuaso che una carta dei vini debba riflettere la personalità del suo autore, come la cucina rispetto al cuoco. Quando sono arrivato a Saint-Jean-Cap-Ferrat, ho trovato una carta à l’ancienne, limitata alla Francia. Ma anche qui il mondo dei wine lovers si sta interessando sempre più al vino italiano, quindi ho iniziato a comprarlo e oggi rappresenta un terzo della selezione. Il riscontro è stato più che positivo: i francesi conoscono già i loro vini e ne vanno giustamente fieri, per questo sono sempre curiosi di provare quelli degli altri e sanno che ci siamo anche noi sul sommet. Il focus è sulle grandi denominazioni piemontesi e toscane e sui cru, ma mi piace toccare un po’ tutte le regioni. Quindi c’è anche la Puglia, al momento una presenza minima, al cui ampliamento sto già lavorando, soprattutto sulle bacche rosse, Nero di Troia, Primitivo e Negroamaro.

Gli chef con cui hai lavorato usavano ingredienti pugliesi?

Sì, soprattutto quello attuale, perché in Costa Azzurra la cucina è mediterranea. Non sono stato io a fare conoscere a Yoric Tieche il nostro olio, che già usava, come la burrata e le olive.

Dici spesso che degustare è un modo per viaggiare, nel tuo caso però aiuta anche a tornare a casa.

Mi sento pugliese e sono fiero di esserlo. Degustare o vendere il nostro vino mi tiene legato alla mia regione e mi rende particolarmente orgoglioso. I vini pugliesi stanno prendendo il loro spazio e diventando interessanti agli occhi dei wine lovers internazionali anche grazie alla biodiversità e alla curiosità verso vitigni autoctoni come la Verdeca, il Bombino bianco, il Fiano Minutolo. Qualcosa che si sta sviluppando di pari passo con il turismo. A casa mia non mancano mai le olive di Cerignola, i pomodori secchi, l’olio, il caciocavallo, i taralli per gli aperitivi con amici e colleghi, in estate con un calice di rosato.

Continui a seguire la Puglia dalla Francia?

Fisicamente torno un paio di volte l’anno, ma in quelle poche occasioni mi piace girare la Puglia per vedere come si sta evolvendo; poi sono sempre in contatto con amici produttori che mi raccontano e spesso mi mandano campioni. Ho così scoperto una nuova ondata di vigneron giovani, che hanno studiato e spesso sono stati all’estero per esperienze di cantina, quindi rispettano la tradizione ma in chiave moderna. È molto importante questo interesse dei giovani per installarsi in Puglia e creare qualcosa di nuovo.

L’abbinamento perfetto per una specialità pugliese?

Su Fave e cicoria vedo uno spumante da bombino bianco della zona di San Severo, metodo classico; oppure un bel sauvignon blanc della Loira, aromatico e fruttato su un piatto comunque persistente e di carattere.

Oltre a eccellere nel vino, i francesi vantano la scuola di sala migliore del mondo. Tu adotti uno stile italiano?

Quello che faccio è applicare le regole dell’art de la table, il servizio alla francese, che significa essere carré in tutto ciò che si fa; poi ci metto un po’ della mia italianità. E devo dire che a loro piace il mio modo di pormi empatico, senza eccessive inibizioni, compresa qualche battuta, quando sento che il cliente vuole rilassarsi.

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