Lello Lacerenza può vantare con legittimo orgoglio una lunga militanza nel settore, a partire dal suo primo ingresso in una cucina importante, in un’epoca in cui l’espressione fare la gavetta aveva ancora un significato degno di rispetto. Una vera gavetta, che per lui è iniziata a diciassette anni e che forse non è mai finita. E che negli anni sessanta del secolo scorso lo ha spinto a lasciare la sua Barletta per cercare nuovi stimoli in Lombardia, dove ha imparato i segreti del mestiere, e ha avuto la fortuna di conoscere personaggi del calibro di Luigi Carnacina e di Luigi Veronelli, che hanno segnato per sempre il suo bagaglio di cultura gastronomica.
Lello tuttavia non sa vivere di luce riflessa. Torna a Barletta e per anni alterna l’attività di ristoratore a quella di venditore di caffè, fino alla svolta fondamentale che ha un nome evocativo e una precisa data di nascita. Si tratta del 21 novembre 1983, quando quasi in contemporanea vengono inaugurati il ristorante Antica Cucina e l’inossidabile sodalizio professionale con Giuseppe Vivo, chef di consumata esperienza. Più che un sodalizio è un incastro perfetto, perché il disciplinato e concreto impegno culinario di Giuseppe si coniuga con la pirotecnica energia di Lello. Prende così l’avvio un’avventura che copre un arco di diversi decenni, e che è parte integrante della storia della ristorazione pugliese, tra prestigiosi riconoscimenti come la stella Michelin del 1994, e l’intelligente iniziativa di aprirsi al catering di qualità nei primi del duemila. Il tutto negli ambienti di tre differenti sedi, da via Diaz e da via Milano fino all’attuale fascinosa cornice di Piazza Marina, tra il lungomare e il centro storico di Barletta.
Ambienti nei quali prevalgono i toni di una composta e sobria eleganza, con confortevoli poltroncine, graziose suppellettili, e il motivo ricorrente delle posate d’epoca che è diventato il logo del locale. Mentre a tavola, dopo un delizioso lampascione fritto su vellutata di zucca e vincotto che funge da benvenuto dello chef, inizia un percorso caratterizzato da grandi classici e da piacevoli momenti innovativi. O meglio, da grandi classici e piccole ed equilibrate invenzioni che puntualmente ruotano intorno ad uno o più elementi saldamente ancorati all’ambito territoriale e alla stagionalità delle stesse materie prime, e si risolvono in fascinose variazioni sul tema della tradizione. Il tutto in un trionfo di seppie e di triglie, di carciofi e di cicerchie, del pecorino e della pasta “miskiata”, che evoca antiche usanze alimentari. Alla categoria degli intramontabili appartiene la leggendaria frittura di pesce della casa, fragrante, leggera, e tale da non coprire mai i sentori ittici: un piatto che è in carta da tanto tempo, e che a dispetto dell’età continua a meritare una standing ovation convinta.
Senza tuttavia rubare la scena agli altri protagonisti, che rivendicano legittimamente un loro specifico ruolo. Come nel caso della già citata pasta “miskiata”, cremosa e gustosa grazie alla presenza delle seppie e al condimento delle cicerchie e della bottarga di tonno; o delle magistrali linguine con triglie e polvere di capperi. Mentre tra gli antipasti si alternano a pari merito il carciofo dorato con crema di pecorino e vincotto, e l’uovo con topinambur, aglio nero fermentato e formaggio podolico, con un risultato finale intenso e verace, e al tempo stesso delicato.