In cucina i piatti diventati iconici spesso sono frutto di un errore compiuto proprio da chi li stava realizzando, le pettole, soffici nuvole di pasta cresciuta, conosciute sia nella versione dolce che in quella salata, sono la testimonianza tangibile che da un errore può nascere qualcosa di buono. La leggenda che si cela dietro alle pettole vuole che questo piatto tipico della gastronomia salentina, ma presente in tutta la Puglia, sia opera di una casalinga di Taranto. La storia racconta che il 22 novembre, giorno dedicato a Santa Cecilia, la protettrice dei musicisti, la massaia impastò la pasta e la lasciò lievitare oltre il tempo necessario, perché fu rapita dalla musica degli zampognari che giravano per le strade della città.
Tornata a casa e resasi conto che ormai la pasta non era più utilizzabile, non si scoraggiò e da essa ricavò delle palline che tuffò nell’olio bollente. Nell’offrirle ai figli questi, dopo averne apprezzato la bontà, ne chiesero il nome; «pettel» rispose la donna, ossia piccola focaccia, poiché sembravano proprio somigliare alla focaccia che in dialetto locale è detta “pitta”. Non completamente soddisfatti, domandarono ancora «E ‘cce sont?» (cosa sono?) e lei, notando che erano morbidi e soffici rispose «I cuscin’ du Bambinell» (i guanciali di Gesù Bambino). Forse per questo nel leccese le “pittule” rappresentano il morbido cuscino su cui viene posto il Bambinello. Una volta terminato di friggere le pettole, scese per la strada per offrirle anche agli zampognari che avevano reso possibile l’invenzione di questa gustosa ricetta. Da quel momento, ogni 22 novembre l’odore di fritto invade le strade di Taranto e segna l’apertura delle feste natalizie.
La leggenda cristiana lega invece la nascita delle “pettole” a Santa Elisabetta che, distratta da una lunga chiacchierata con la Madonna, dimenticò l’impasto del pane settimanale, che crebbe a dismisura. Per recuperarlo non le restò che stracciarlo e tuffare i pezzi di pasta nell’olio bollente.
Le pettole sono uno di quei cibi da definire “comfort food” perché alla loro presenza si lega l’idea di convivialità e condivisione che spesso ancora oggi ritroviamo nelle famiglie pugliesi durante i giorni delle festività. La tradizione vuole che vengano servite rigorosamente calde e cosparse di zucchero, ma ad alcuni piacciono anche nella versione salata, riempite cioè con acciughe, pomodorini e capperi. Dal Salento al Gargano la pasta fritta rappresenta una delle migliori tradizioni della cucina pugliese, l’inconfondibile profumo di frittura è uno di quegli odori che si immagazzina nell’archivio dei ricordi legati a dei momenti sereni della vita.
La ricetta:
- 500 g di farina 00
- Sale
- 400 ml di acqua tiepida
- 1 cubetto di lievito di birra
- Olio evo per friggere
- Vino bianco
Sciogliere il lievito in poca acqua tiepida. In una ciotola mettere la farina a fontana, aggiungere il sale e impastare con acqua e lievito. Lavorare a lungo fino ad ottenere una pasta morbida ed elastica. Lasciarla lievitare finché non raddoppia di volume, intingere le mani nel vino bianco, strappare e allungare dei pezzi di pasta e friggerli in abbondante olio bollente.
Foto Credits: Uccia Antonia @uccia3000_official