Fave e cicoria, il piatto iconico della cucina pugliese ritenuto un tabù per Pitagora

Pitagora, convinto vegetariano, proibiva a se stesso e ai suoi discepoli di uccidere e mangiare gli animali, in quanto credeva nella metempsicosi, secondo la quale le anime degli esseri umani, dopo la morte, trovavano nuova vita nel corpo degli animali. Cibarsi delle loro carni, quindi, per il grande maestro significava mangiare un uomo. Egli, però, pur cibandosi di alimenti vegetali di ogni genere, metteva in guardia dal mangiare fave e egli stesso non ne consumava.

Tante le ipotesi su questa sua repulsione, che gli storici hanno chiamato appunto “tabù delle fave di Pitagora”, tra queste il fatto che erano considerate magiche, dotate di una soprannaturale potenza, oltre che cibo sacro agli dei. Un’altra ipotesi è che si trattasse semplicemente di prevenire i rischi legati alla loro tossicità, mettendo in guardia gli uomini dai pericoli derivanti dal loro consumo, che poteva portare alla terribile malattia del favismo.

Eppure, se dovessimo scegliere il legume che più di tutti rappresenta la Puglia non ci sarebbero dubbi, perché le fave sono l’ingrediente principale di uno dei piatti più iconici della nostra regione. Mi è capitato di raccontare, quando mi chiesero di parlare dei trulli nel programma Linea Verde su RaiUno, dell’usanza che le donne avevano, nel passato, di fermarsi sull’uscio nell’atto di “mozzicare” le fave, con in grembo “u cazzafàve”, una rudimentale cassetta con una specie di scalpellino sulla quale vengono divise in due per separarle dalla buccia esterna.

La parte interna, quindi, viene utilizzata per fare il Purè di fave bianche che, abbinato alle cicorie è certamente, al pari di Riso patate e cozze e Orecchiette con le cime di rapa, il piatto più conosciuto della tradizione gastronomica pugliese.

La loro vellutata dolcezza si accompagna stupendamente con le note amare della cicoria, soprattutto se si tratta di quella selvatica, e dell’olio extravergine di Coratina che è il classico condimento da aggiungere a crudo. L’olio in questo piatto è fondamentale, serve proprio da legante e insaporisce il delicato sapore delle fave, motivo per cui si preferisce condirle con un’extravergine dalle spiccate note amare, la Coratina appunto, ma ci sta alla grande anche il Cima di Mola, l’Olivastra, la Cellina e anche la Peranzana, quest’ultima un po’ più delicata.

Non è il solo modo per gustarle. In valle d’Itria, ad esempio, il gustoso legume viene accompagnato anche con altri ortaggi come i peperoni friggitelli, o cornaletti come si usa chiamarli da quelle parti, mescolate con pezzi di pane raffermo proprio per rendere il piatto ancora più sostanzioso.

Si cucinano, però, anche con la buccia, in quel caso vengono chiamate “cottoie”, e sono gustosissime preparate in pignata di terracotta come avviene nella sagra delle olive e delle fave a Giovinazzo, oppure, come mi è capitato di mangiarle a Cassano delle Murge, saltate con tanta cipolla, abbondante peperoncino e quadrotti di pane tostato. In periodo di vendemmia si accompagnano persino a chicchi di uva, cosa che mi fu raccontata tanti anni fa da un’anziana signora di Manduria.

Ma le fave sono ottime con qualsiasi accompagnamento di verdure, ci stanno benissimo anche le dolci bietole, tutte le erbe spontanee, le olive fritte, i lampascioni, e anche la cipolla di Acquaviva delle Fonti rigorosamente cruda.

E se ti avanzano, il giorno successivo le diluisci un po’ per farne una crema, le miescoli con la pasta oppure con il riso e ci aggiungi delle rondelle di cipolla “sfritta”, per un piatto strepitosamente buono.

Preparare il purè è facile, richiede solo un po’ di pazienza, perché vanno messe a bagno per reidratarle e poi cotte a fuoco lento in una pentola possibilmente di coccio, o meglio ancora nel “pignatello” messo a lato del fuoco del caminetto, con qualche foglia di alloro e ricoperte di acqua. Molti ci mettono anche delle fette di patate, bisogna solo attendere che si ammorbidiscano per bene e, con energiche rimestate di un cucchiaio di legno, sarà facile trasformarle in un grossolano purè.

Così facevano le nostre nonne, il purè rimane piuttosto grezzo e a me piace di più ma, chi lo vuole bello liscio, si aiuta con un moderno mixer a immersione. Io non lo consiglio, al limite usate il classico passaverdure a manovella, ma se preferite…de gustibus!

Se poi volete divertirvi nel creare un piatto da esibire con orgoglio ai vostri ospiti, prendete un bel piattone largo, mettete il purè al centro e contornatelo con tutte le verdure e gli ortaggi che volete, vanno benissimo quelli che ho già elencato prima e anche qualcuno in più. Condite con un generoso giro di olio, mettetelo al centro della tavola e lasciate che siano i vostri commensali a servirsene direttamente dal “piatto mezzano”, un po’ come si faceva una volta nelle famiglie contadine, accompagnandolo con un pane casereccio di semola di grano duro.

Gira in rete, tra le tante falsità sul cibo e sulle ricette, la storiella che Aristofane, nella sua commedia “Le rane”, abbia scritto che Ercole, dopo aver mangiato un piatto di fave, fosse in grado di far cambiare di stato a diecimila vergini, ma si tratta di una traduzione e ricostruzione alquanto fantasiosa dei suoi scritti, nei quali si parla genericamente di pignatte di cose spezzate, e neppure si trattava di Ercole ma di Dioniso travestito.

In ogni caso il valore nutrizionale delle fave è indubbio, sono, come tutti i legumi, ottime proteine vegetali; quindi mangiatele pure con grande soddisfazione, ma state tranquilli che quelle “fatiche” rimarranno (forse) prerogativa di Ercole, di Dioniso e della prolifica fantasia dei tanti improvvisati scrittori di cibo e cucina nei quali ci si imbatte facilmente su Internet!

Foto Credits: Sandro Romano

 

 

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