«La nostra passione è diventata il nostro lavoro». Così Angelo Petrizzelli e sua moglie, Marianna Acquaviva, spiegano perché la loro vita, vacanze comprese, ruota attorno all’olio extra vergine d’oliva e al turismo enogastronomico. Entrambi sono le menti e i cuori pulsanti dell’Azienda Agricola Petrizzelli, 50 ettari nell’agro di Corato, in provincia di Bari. Nella terra della cultivar Coratina hanno deciso di mettere al centro del proprio lavoro la loro idea di olio evo. Per renderla realtà, nell’azienda agricola hanno costruito anche un frantoio che sta facendo scuola.
«L’olio? Vediamo se è buono davvero»
Angelo Petrizzelli, 40 anni, figlio di imprenditori agricoli, ha iniziato a fantasticare sull’idea di un suo frantoio a 18 anni. Ne è la prova la tesina a tema, presentata durante gli anni all’Istituto tecnico agrario Umberto I di Andria. Ma i sogni sono nulla senza concretezza, di cui Marianna Acquaviva, 37 anni, sua compagna di vita e più grande complice, è maestra. Da una banale conversazione familiare sulla bontà dell’olio fatto alla vecchia maniera Marianna, che vanta un dottorato in scienze chimiche molecolari, ha lanciato la sfida ai suoi parenti. «Vediamo se è buono davvero, studiamolo». Quello è stato il punto di partenza per un percorso di formazione, che li ha portati a diventare Tecnici ed esperti degli oli di oliva vergini ed extra vergini della Camera di Commercio di Bari. Dopo alcuni anni da ospiti in altri frantoi, nel 2019 hanno concluso i lavori per creare il proprio. Con macchine e conoscenze a disposizione, i Petrizzelli potevano trasformare finalmente la teoria in pratica.
Come si lavora da Petrizzelli
Solitamente la filiera dell’olio inizia così. Si va in campo, si raccoglie – con mezzi meccanici o a mano – senza preoccuparsi troppo di ammaccare le olive sui panni. Si carica su cassoni spesso poco puliti. Si arriva al frantoio, si scarica in bin che hanno ospitato ogni tipo di olive, buone o meno buone. Si prende un appuntamento per la molitura. A volte, le olive “restano a terra” per più di due giorni, al fine di aumentarne la resa. Segue la spremitura vera e propria, che in alcuni frantoi vede al centro del processo la molazza, le famose macine di pietra che trasformano le olive in pasta, dando in pasto all’ossigeno i preziosi polifenoli contenuti in questo frutto.
Nel frantoio Petrizzelli la musica è ben diversa. «Seguiamo le olive dall’arrivo, le trasferiamo nei bins puliti e da quel momento capiamo come preparare le macchine per ottenere uno specifico risultato. Ciò che cerchiamo di fare è non rovinare le olive, o farlo il meno possibile! Dopo averle defogliate e lavate, il cuore dell’operazione è il frangitore. Cerchiamo sempre il giusto quantitativo di ossigeno e durata di contatto a seconda delle olive da lavorare. In frantoio, grazie al progetto di un altro produttore, Antonio Diaferia, patron di Lamafà, abbiamo anche uno scambiatore termico, che ci ha permesso di estrarre eccellenze, separando l’olio dalla pasta senza far aumentare la temperatura. Seguono la filtrazione e l’imbottigliamento. In più, noi assaggiamo tutti gli oli che escono dalle nostre macchine, i nostri e quelli dei nostri clienti».
Se Marianna e Angelo sono i frontman dell’azienda, non lavorano da soli. Gli altri componenti del team, tra cui il fratello di Angelo, Giuseppe, lavorano in campo o aiutano a realizzare progetti elettromeccanici in grado di migliorare le prestazioni del frantoio. Infatti, anche se la regione tarda ad attivarli, sul retro del frantoio ci sono anche dei silos, che permettono di smaltire in autonomia le biomasse.
Dal campo alla bottiglia
L’Azienda Agricola Petrizzelli produce quattro tipi di olio: il Caius Oratus da Coratina, olio da Peranzana, il non filtrato e il denoccialato. Quest’anno, proprio grazie al Caius Oratus, nell’ambiente olivicolo si è iniziato a mormorare che a Corato hanno iniziato a fare l’olio buono. Infatti, nonostante questa sia la terra di una delle cultivar più diffuse in Italia, non lo è altrettanto l’eccellenza del prodotto finale. Grazie a una visione differente, i Petrizzelli sono riusciti a portare il proprio Caius Oratus in finale per la sezione Coratina del concorso Leone D’Oro International.
«Per avere un olio evo di qualità si deve partire dalla pianta – spiega Angelo – L’oliva deve essere sana e fresca. Per ottenere un bouquet di profumi, deve essere anche verde e non deve aver subito troppi trattamenti. Per i nostri oli andiamo a scegliere quelle che rispondono a questi criteri». «Il nostro obiettivo – spiega Marianna – è avvicinare alla Coratina chi non ama l’olio piccante e amaro. Per questo abbiamo creato un prodotto il più rotondo possibile».
Al naso, i sentori che raccontano il Caius Oratus sono mandorla verde e rosmarino, che dominano il bouquet. Seguono il tipico carciofo, la foglia di ulivo, i sentori erbacei con note di caffè e mela verde. Come ogni olio da Coratina che si rispetti al gusto rivela un fruttato intenso, piacevolmente amaro e piccante grazie all’alta quantità di polifenoli contenuta. «Pensavo che non fossimo ancora abbastanza pronti per questo risultato – spiega Angelo, commentando il posto in finale – Non ci sembrava vero di essere tra i big dell’olio».
Oleoturismo, ma non solo
La passione dei Petrizzelli è così dirompente che ha tracimato l’azienda agricola e ha contagiato altri produttori e le istituzioni sul territorio cittadino. L’obiettivo è solo uno: valorizzare una cultivar che fino a qualche anno fa era considerata adatta solo a dare spessore a oli più deboli. «La Coratina è inimitabile – sottolinea Angelo – Ha caratteristiche troppo forti, quando è fatta bene, per essere ignorate. Ciò che attira di più – anche se dipende dalla cultura di chi lo assaggia – è l’alto contenuto polifenolico, che rende questo il miglior olio dal punto di vista nutraceutico, perfetto per chi vuole vivere e mangiare sano e bene».
Per valorizzare la Coratina, la divulgazione non basta. Serve anche un modo per travolgere il turista con tutto ciò che di buono l’agro coratino ha da offrire. Bisogna ragionare seguendo i criteri dell’oleoturismo. «Questo è stato uno dei cavalli di battaglia di Marianna, sin dal suo ingresso di famiglia. Ma, a livello locale, l’argomento ha sempre destato poco interesse».
Durante l’estate 2022 sembra invece che i produttori coratini abbiano vissuto una sorta di “febbre dell’olio”, organizzando numerosi eventi tra gli ulivi, per raccontare il proprio lavoro e i propri prodotti. I Petrizzelli, che stanno lavorando per creare percorsi di avvicinamento all’olio nelle scuole primarie e secondarie, puntano a coinvolgere tutta l’industria agroalimentare della zona, per portare i turisti a contatto con olio, ma anche vino, prodotti caseari e vita agrituristica.
«Vogliamo che chi sceglie di venire a Corato, venga travolto dalle esperienze enogastronomiche che le nostre aziende possono offrire. Durante le nostre vacanze in Trentino, abbiamo ricevuto una guida con l’elenco di tutte le aziende del territorio che organizzavano degustazioni». Ma, per quanta passione ci si può mettere, si sa che l’unione fa la forza. Per questo l’Azienda Agricola Petruzzelli, insieme ad altri produttori oleari di Corato, si uniranno in un’associazione che mira a riunire li sforzi promozionali necessari per valorizzare la Coratina.
Il peccato originale dell’olivicoltura italiana (e pugliese)
Con 650 mila aziende olivicole in Italia, 4500 frantoi attivi, 3,3 miliardi di fatturato e 315 mila tonnellate di produzione, il potenziale olivicolo e oleoturistico italiano è altissimo. Ma la verità è che il peccato originale del settore in Italia e in Puglia (che, da sola, produce il 38% del prodotto nazionale) è la cultura. Secondo Angelo, «ci vorrebbe maggiore organizzazione tra i produttori per ottimizzare i costi e iniziare a fare qualità. Il mercato ci ha sempre visti come produttori di quantità. Ora sta a noi farci percepire in un’ottica diversa. Sicuramente la cosa che più ci aiuterà è il territorio. Dobbiamo fare in modo che il turista possa portare a casa l’emozione che, attraverso una bottiglia d’olio, ricordi il territorio e le esperienze vissute». Del resto, cos’è il viaggiare, se non andare alla ricerca di un ricordo vissuto in un altro posto?
In Puglia bisogna ripartire dall’identità. Ogni produttore deve lavorare per ottenere l’olio che lo rappresenti di più. «Si tratta di un processo fatto di tanti assaggi, dalla pasta in poi, durante tutto l’iter di molitura. Perché il futuro è questo: saranno i frantoiani a doversi adattare ai produttori e non il contrario. Per anni si è chinata la testa dinanzi all’imperativo delle rese. Ora, grazie anche alla formazione che deve coinvolgere il produttore in primis, sappiamo cosa chiedere a chi lavora le nostre olive».