Da Federico II a Semen, l’evoluzione metafisica del pittore gioiese Gino Donvito

Ha raccontato e reso celebre la Puglia nel mondo attraverso l’immagine di Federico II di Svevia, l’imperatore del Sacro romano impero che nell’Italia meridionale creò una struttura politica moderna, testimoniata dalla sua rete di castelli. Ora, però, per il pittore Gino Donvito è arrivato, forte, l’impulso ad esplorare una dimensione più intima e metafisica: l’origine della vita. Per questo la sua prossima mostra, in fase di ideazione, si chiamerà Semen (seme). Superati i soggetti medievali, che a lungo lo hanno identificato anche agli occhi del pubblico, Donvito mantiene il suo legame con il gusto estetico di quel periodo, a torto definito “buio” da una parte della storiografia.

“Dipingo su legno perché era una tecnica medievale. – racconta – Il legno è già stato vita e ha visto molte lune passare. È importante avere un supporto amico quando lavoro.”

Incontro Gino Donvito in un caldissimo pomeriggio di primavera, nel suo studio/abitazione, nella Murgia vicino Gioia del Colle (suo paese d’origine). Il rumore della civiltà è sufficientemente lontano. La porta del suo studio è aperta sulla campagna. Vi entra il profumo del rosmarino e il canto delle cicale. La scelta dei materiali (pietra, legno e ferro battuto) incrocia l’architettura della masseria creando suggestioni che, ancora una volta, rimandano all’imprescindibile Stupor mundi (Federico II ndr). Lui parla piano, con gesti lenti e ampi del palmo della mano ad indicare le sue opere collocate alle pareti, sui cavalletti o sul soffitto ligneo a capriata.

“Quello è il pelo del seme di una pianta visto al microscopio e i puntini bianchi sono la polvere. – dice, riferendosi ad una delle tavole – Voglio andare a guardare dove l’uomo non può perché adesso ho più coraggio. I valori della mia creazione ora sono diversi e sono il punto di approdo di una evoluzione dell’arte iniziata quindici anni fa dopo aver affrontato seri problemi di salute e aver visto passare le guerre sul mondo, ultima quella in Ucraina.

Una volta mi sedevo davanti al cavalletto e aspettavo una sorta di ispirazione, pensando ai temi e soggetti che il pubblico avrebbe potuto gradire. Non ero in sintonia con chi ero, con chi voglio essere e con il modo in cui voglio vivere.”

Come Donvito voglia vivere è, ora, piuttosto evidente, a partire dalla scelta della sua campagna pugliese, quel pezzo di terra del pianeta che ha desiderato di avere sin da quando, diciassettenne, a Parigi dipingeva ritratti a Montmartre per comprarsi da mangiare. È la storia di un uomo che ha scelto di vivere di arte e, pur di riuscirci, ha accettato, in passato, di riprodurre ciò che piaceva alla gente perché doveva vendere.

“Quando non avevo soldi, non uscivo di casa. – confessa con orgoglio – Ora dipingo per me, senza preoccuparmi di uscire dai bordi, dal contorno e senza paura di sporcarmi. Per la costruzione di un’opera ho bisogno di un mese e mezzo circa. Prima un mese di gestazione, in cui faccio altro e osservo. Pulendo il giardino, piantando fiori o facendo passeggiate cerco, per esempio, un colore o una luce che mi servirà per l’opera che dentro di me sta prendendo forma. Quando riesco a vederla nella mia mente, la realizzo in pochi giorni.”

Ora Donvito lavora con Natuzzi, l’imprenditore pugliese che dagli anni Cinquanta produce e vende divani in tutto il mondo e che, ultimamente, ha arricchito la sua offerta con i complementi d’arredo. In pratica, Natuzzi compra i diritti d’autore e fa litografie dalle opere del pittore, che possono essere acquistate nei suoi 400 negozi sparsi per i continenti.

L’artista gioiese è un autodidatta; secondo lui si possono insegnare le tecniche ma non si può insegnare l’arte. Predilige le personali alle mostre collettive e non ama intitolare e/o spiegare le opere. Ultimo omaggio al ritmo lento della congettura, lascia che sia il pubblico ad interpretare partendo da alcune linee guida. Non ha mai fatto disegni preparatori. Ama il bianco e nero sulla tavola e, quando dipinge, ha bisogno dei suoi modelli: Giotto, Leonardo, Caravaggio, Picasso.

Pablo Picasso, quel signore in canottiera e mutandoni bianchi, ritratto di spalle mentre disegna su un muro in uno dei primi frame televisivi in bianco e nero di cui Donvito ha memoria. All’epoca aveva sette anni, ma non lo dimenticò. Lo riconobbe quando, dieci anni dopo, vide una sua gigantografia nel bar degli artisti a Parigi. Era arrivato nella capitale francese dopo tre giorni di autostop e da quel momento non ebbe più dubbi: voleva diventare come il pittore spagnolo, uno dei più grandi artisti del mondo. Un obiettivo ambiziosissimo che ha portato Donvito a Firenze e, per cinque anni, a Miami, lavorando per essere quello che è oggi: un artista maturo e coraggioso che trae la sua ispirazione dalla natura, in una dimensione estetica ed estatica tutta pugliese.

La cifra distintiva dei suoi quadri è un ramoscello d’ulivo stilizzato, una firma che ambisce ad entrare nell’opera e costituirne parte integrante.

“L’arte è un rifugio meraviglioso. Conclude con occhi ipnotici e sognanti, aggiungendo una postilla su un sogno semplice, non ancora realizzato: “Vorrei che Gioia (del Colle ndr) mi dedicasse un catalogo.”.

 

 

 

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