I tortellini alla panna, un piatto nato da un ricordo d’infanzia

Negli anni 70/80 anche la Puglia, come tutte le regioni italiane fu invasa da alcune ricette che contemplavano l’utilizzo di ingredienti non locali o addirittura esotici. È il caso del salmone, all’epoca pregiatissimo, o del caviale, spessissimo sostituito dalle molto più economiche uova di lompo,

Per stupire gli ospiti, persino le massaie pugliesi relegarono al quotidiano i nostri piatti della tradizione, sostituendoli nei giorni di festa e negli incontri conviviali con piatti meno usuali come le farfalle al salmone, le tagliatelle mari e monti, le crespelle, l’insalata russa, i risotti allo champagne o alle fragole, i tortellini alla panna.

A questo proposito voglio raccontare un divertente episodio che, quando ero ancora un ragazzetto, intorno al 1970, ebbe come protagonisti me, un mio caro amico, mia madre, appunto, i tortellini. Michele era un ragazzetto di Martina Franca. La sua famiglia, in quegli anni, era titolare dell’importante azienda vinicola martinese Di Gregorio e, ogni anno, trascorreva le sue vacanze in una villa con uscita direttamente sulla spiaggia di Torre Canne.  Anche la mia famiglia prendeva in fitto un appartamentino a poca distanza dalla spiaggia e dalla villa della famiglia di Michele, motivo per cui ben presto diventammo amici, nonostante lui fosse qualche anno più grande di me.

Ogni pomeriggio Michele usciva sulla spiaggia, ci incontravamo e chiacchieravamo di tante cose da bambini, ma a volte anche di ciò che avevamo mangiato. Io da bambino non è che fossi un gran buongustaio, mangiavo pochissime cose, ero schizzinoso ed ero la disperazione di mia madre, insomma non è che si intravedesse minimamente il gastronomo di oggi.

Non mangiavo pesce né formaggi, verdure neanche a parlarne, alla mortadella toglievo i lardelli ad uno ad uno, il prosciutto doveva essere rigorosamente senza grasso, la carne doveva esser sottile, magra e stracotta fino a farla diventare praticamente una suola di scarpe. La domenica mia madre e mia nonna preparavano le orecchiette o i rigatoni con il classico ragù barese di brasciòle che io odiavo, andando a scegliermi nel piatto la pasta scondita e lasciando tutto ciò che era “contaminato” dal sugo.

Una di quelle domeniche pomeriggio, però, incontrandoci sulla spiaggia, Michele mi raccontò di avere mangiato dei buonissimi tortellini alla panna preparati da sua madre. Sul momento pensai che mi stesse prendendo in giro, ma poi mi accorsi che Michele era serissimo. Ero poco più di un bimbo, la panna da cucina non sapevo cosa fosse, conoscevo solo quella che facevo mettere sulla coppetta al cioccolato, che amavo. In cucina era comunque sconosciuta ai più e pure in famiglia non ne avevamo mai sentito parlare, ma la cosa mi intrigava parecchio.

Così, affascinato dal piatto preparato in casa del mio amico, proposi a mia madre di sostituire il ragù alla barese con i tortellini alla panna, e lei, pur di vedermi mangiare con gusto, decise di accontentarmi.  Contenta di vedermi finalmente magiare con gusto, la domenica successiva mia madre, tra la sorpresa di tutti i commensali, invece del piatto domenicale che tutti si aspettavano, si presentò in tavola con i tortellini fumanti conditi con abbondante e cremosa panna. Tutti, con grande appetito e colpiti dall’inaspettata creatività della cuoca si tuffarono sul piatto novità pronti ad applaudire l’estro culinario di mia madre, ma già al primo assaggio dovettero ricredersi, scontrandosi con un’amara – anzi dolcissima – realtà. Il primo fu mio padre che, rivolgendosi a mia madre, esclamò: ”Lia, ma che schifezza è questa?” In breve tempo tutti si accodarono all’esternazione di mio padre chiedendo spiegazioni sul piatto.

Mia madre cercò di giustificarsi dando a me la colpa: “Me li ha chiesti u pecenìnne (il bambino). Voleva i tortellini alla panna e l’ho accontentato!” Non ricordo chi fu, forse mio zio, a farle notare che la panna da utilizzare non doveva essere quella montata e zuccherata acquistata dal gelataio, ma, appunto, quella da cucina. Tra le imprecazioni di mio padre tutti scoppiarono a ridere e, come ogni domenica, dopo il primo arrivarono tante altre prelibatezze, ma questo episodio rimarrà sempre un divertente ricordo della mia infanzia.

E pure un divertente capitolo della bella amicizia con Michele, un‘amicizia che, negli anni a seguire, si è cementata intorno alla tavola e a meravigliosi vini, con splendide bistecche di Chianina accompagnate dal Cacc’e Mmitte o dal Nero di Troia dell’azienda Alberto Longo nella quale svolgeva il ruolo di direttore.

Michele leggerà questa storiella dal cielo ma, ne sono certo, si sbellicherà dalle risate!

Foto Credits: Stefano Caffarri

 

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