Apparecchiare una bella tavola non è questione di buone maniere. Non solo. Sappiamo, ormai, tutti che il coltello si mette a destra del piatto e le forchette a sinistra. Quello che è più difficile e, per certi versi, più stimolante, è riuscire a far dialogare gli oggetti tra loro facendogli parlare un linguaggio che è coerente con l’architettura della nostra casa. Questo dialogo crea un testo e quindi un’esperienza immaginifica con riverberi infinitamente più ricchi di un pasto consumato al ristorante.
Un errore che comunemente si fa è quello di pensare che le nostre abitazioni non siano all’altezza di ospitare pranzi, cene o, più in generale, ricevimenti di un certo livello. Per questo scegliamo location ad hoc. Sono bellissime ma non raccontano niente di noi.
Nelle foto che seguono illustro come si può vestire una tavola elegante in una casa “normale”. Bastano pochi e semplici accorgimenti, che ognuno dovrà personalizzare in funzione della sua casa e del suo menù.
La casa è il nome comune di tutta quella serie di pratiche e sforzi, immaginazioni e attitudini che intraprendiamo ogni volta per vivere meglio, per vivere meglio non in un istante ma in una temporalità diffusa. È stare meglio nel senso del felix latino, una condizione duratura per cui devi cambiare in maniera stabile, solida il mondo almeno per un po’.
Il filosofo Emanuele Coccia (autore del recente “Filosofia della casa: lo spazio domestico e la felicità”) ricostruisce quel passaggio culturale che ha reso più intimo il rapporto tra l’abitazione e i suoi abitanti: “Per anni la casa è stata una specie di strano garage in cui si tornava per poi uscire di nuovo: passavamo tutto il tempo fuori e la casa era un’inezia legata al fatto che la libertà, l’emancipazione, la ricchezza anche culturale venissero usufruite sempre soprattutto fuori. Oggi questa cosa è finita per mille ragioni, primo perché c’è stata la pandemia, secondo per i social media, con cui, ancora prima della pandemia, abbiamo creato spazi domestici.”.
Partendo da queste osservazioni, vale la pena provare a dare un’identità anche alla nostra tavola delle feste.
Nel caso specifico, è stato vestito un tavolo ovale in noce di fine Ottocento. Si è scelta una tovaglia in lino bianco con ricamo floreale in rilievo lungo tutto il perimetro e, trasversale a questa, un runner in lino color tortora chiaro, che ne riprende il ricamo. I piatti sono in ceramica verde salvia con bordo oro antichizzato, di fattura artigianale pugliese. I bicchieri non sono abbinati. Il tambler per l’acqua è in vetro spesso ed è abbinato ad un calice da vino in cristallo. L’elemento moderno è rappresentato dalle posate lucide in acciaio.
Un ramo di pungitopo, con i classici colori del Natale, percorre la tavola in tutta la sua lunghezza, affacciandosi inaspettatamente da un vaso alto in cristallo.
L’apparecchiatura è contestualizzata in un’abitazione tipicamente pugliese, palazzo padronale con una lunga storia familiare. Da qui la scelta di attualizzare una tavola tradizionale. Colori, forme e volumi intessono con l’architettura della casa un gioco di rimandi. Il vaso in cristallo, per esempio, guarda le volte a vela, riverberando la sua luce insieme a quella delle posate.
In accordo, si è scelto anche un menù fatto di piatti tipici estrapolati da un vecchio ricettario.
Foto Credits: Giusy Lippolis
Per il tessile si ringrazia: Camelia Gioia del Colle ( www.cameliaviaroma.com )
Per le stoviglie si ringrazia: Galleria Le Perle Gioia del Colle ( @galleria_le_perle )