Angelo Di Biccari, il custode dell’unico forno a paglia in attività della Puglia

Orsara di Puglia, piccolo paesino dauno nell’estremo nord della regione, a prima vista sembrerebbe un luogo da poter saltare a piè pari nel caso si voglia fare un giro turistico di quelle zone. Invece no, sarebbe un errore soprattutto dal punto di vista gastronomico, in quanto a Orsara risiedono importanti protagonisti della scena ristorativa pugliese.

In tantissimi conoscono Peppe Zullo, l’istrionico chef orsarese presente spesso in noti programmi Rai e titolare del “Paradiso” e della bellissima Villa Jamele, ma a Orsara risiede un altro personaggio che vale la pena incontrare: Angelo Di Biccari, detto Trilussa, proprietario di un meraviglioso forno a paglia del 1526.

Angelo in questo forno produce periodicamente 40 pani da 4 kg l’uno che è possibile acquistare e che, una volta portato a casa – ve lo dico per esperienza personale – dura almeno un mese. Una volta entrati nel “regno” di Trilussa, un ambiente in pietra con arredi originali d’epoca e lunghe scale per la raccolta delle olive appese al soffitto e usate per poggiarvi le pagnotte, il tempo sembra fermarsi.

Angelo è un uomo di generosità straordinaria e io mi pregio di essere suo amico. “Un simpatico burbero, termine che appare come un ossimoro, e che invece, secondo me, lo descrive alla perfezione.

“Un giorno è venuto da me un noto giornalista – mi racconta – e ha cominciato a farmi un sacco di domande sull’impasto, sui tempi di lievitazione, che farina uso, ecc.  Gli ho risposto con un “mangia e zitto, se ti piace è bene altrimenti non m’ia rombe u c…. (inutile tradurre dal dialetto, si capisce, vero?)”

Spesso sono andato a trovarlo con amici, ma, quando ci vado da solo e ci ritroviamo io e lui, in questa stanza semibuia, seduti al tavolo vicino alla bocca del forno, il suo pane da tagliare, una salsiccia da affettare, un cacioricotta di capra, qualche mela limoncella e un bicchiere di vino – di solito fatto dalla locale uva tuccanese – è per me sempre un’esperienza di grande intensità.

Mi ha raccontato che quella struttura appartiene alla sua famiglia da cinque generazioni e che una volta era adibito a forno pubblico dove le donne venivano a portare il loro pane e le loro teglie.

Il prezzo per l’utilizzo era calcolato a pezzi e questo era il motivo per cui, invece di fare tanti pani piccoli, se ne faceva uno solo di 4 chili, che poi era anche più buono. Serviva più o meno per una settimana, a seconda delle dimensioni delle famiglie, ma mai si impastava del nuovo pane se prima non si terminava la pagnotta precedente.

“Altrimenti – mi spiega Angelo – nessuno avrebbe più mangiato quello vecchio. Solo quando finiva, la massaia “scanàve” (impastava) nuovamente”. “Le donne del paese – continua Angelo indicandomi una bella foto in bianco e nero della madre – venivano al forno a portare i loro pani tenendo in equilibrio sulla testa “a spàrre”, un’asse di legno (v.foto d’epoca) sulla quale portavano i loro pani, precedentemente marchiati per poterli riconoscere dopo la cottura”.

Mi spiega, inoltre che all’epoca i forni erano fatti per funzionare con quel combustibile essendo l’unico facilmente a disposizione. La struttura del suo forno, si compone di due campane in pietra tufara, una sotto e una sopra, comunicanti fra loro attraverso un foro centrale denominato “inferno”, che serve a trasmettere il calore indirettamente sia al piano che alla volta.

In quella sottostante il fornaio inginocchiato infilava la paglia che, bruciandosi, attraverso quel foro, porta il calore alla camera superiore nella quale vengono disposti i pani e, man mano che la temperatura scende, altri alimenti come teglie di pasta, di patate con la carne o con la salsiccia, oppure, nella prima fase con le temperature ai massimi, le pizze.

Per il controllo del raggiungimento della temperatura si usava “a pizze’nderre” cioè un pezzo di impasto che doveva cuocere in tre minuti direttamente sul piano del forno. Questo significava che il forno aveva raggiunto più o meno i 280 gradi.

Il forno di Angelo Di Biccari è davvero un pezzo di storia. Prima ancora era usato dai monaci per cucinare le loro teglie. “Vedi quel passaggio? Portava direttamente alla chiesa e proprio da lì passavano per portare i loro pani e le loro pizze”. Ecco, mettendosi prima d’accordo con Angelo, non perdetevi la possibilità di assaggiare le sue ottime pizze, che fa, in numero limitatissimo e solo il sabato a pranzo, con lo stesso impasto di semola di grano duro del pane.  Un giorno mi fece assaggiare la pizza all’acqua – così la chiama – e quando me lo disse non riuscii subito a comprenderne il perché. Me lo spiegò dopo il primo morso: ”Quando la mangi sei costretto a bere, perciò l’ho chiamata così”. In effetti era bella piccante!

Da non perdere la “pizza con la fica” ( Angelo la chiama così!), nella quale la dolcezza dei fichi freschi contrasta piacevolmente con il sapido della salsiccia.

Ma, sempre previo accordi, Angelo può prepararvi anche un pasto completo facendovi assaggiare piatti tipici del posto e teglie buonissime tutte preparate nel suo forno.

Incredibile la teglia di patate, lampascioni, salsiccia, torcinelli e mela limoncella, oppure il tradizionale pancotto, servito direttamente nelle sue forme di pane. Se siete fortunati, come è capitato a me, potreste trovarvi mentre sulla cucina a legna “pippia” lentamente lo stufato di vacca o un saporito ragù, oppure “a pizze c’a cepòlle” (pizza con la cipolla), una meravigliosa quanto semplice focaccia/calzone ripiena di cipolla stufata. Una bomba, vi assicuro. Se ve la prepara, vuol dire che gli siete diventati davvero simpatici.

Non aspettatevi una scelta di vini serviti in calici di cristallo ma il vino rosso della casa servito fresco nei tipici bicchieri bassi da osteria. Credetemi, però, in quell’atmosfera così vera, così tipica e così meravigliosamente antica e spartana, non se ne sente assolutamente la mancanza.

“Io nel calice non voglio bere – esclama il mio amico – perché tocche u nàse (tocca il naso)!”

“Vabbè Angelo – rispondo divertito – ma mi autorizzi a scrivere questa cosa?

“Mah, fai che c…. vuoi!”

Lui è fatto così, ma vi assicuro che, se riuscirete ad entrare nelle sue simpatie, vivrete un’esperienza difficile da dimenticare.

Angelo è un burbero con chi non riesce a comprendere la bellezza della semplicità ma anche un simpaticone per chi entra in sintonia con il suo modo di vedere la vita e la genuina convivialità. Un’esperienza che porterete a casa con gioia e il desiderio di ripetere quanto prima.

Alla fine di tutto, mica vorrete andar via senza una meravigliosa forma di pane, che sarà il ricordo indelebile di una giornata fuori dal tempo e dalle convenzioni della nostra vita quotidiana.

Foto Credits: Sandro Romano

 

Associazione Pane e Salute

tel. 0881.964826 cell. 366.5464992

Via Caracciolo 13

Orsara di Puglia (Fg)

 

 

 

 

 

 

 

 

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