Tenute Rubino scrivono un nuovo capitolo nella storia del Primitivo di Manduria

Precursori nell’export del Primitivo, ora portano sul mercato il Progetto Palombara, frutto della prima vendemmia nell’omonima tenuta di Lizzano.

Può un vino soddisfare i sensi e accompagnare una cena per tutte le portate principali? Tenute Rubino e Giuseppe Cupertino, Presidente FIS Puglia e sommelier del ristorante Due Camini di Borgo Egnazia, hanno dimostrato che non solo è possibile, ma è anche un’esperienza destinata a diventare naturale. Infatti, dati gli effetti del cambiamento climatico, raffreddare il vino rosso non sarà più una stravaganza, bensì un’esigenza, che potrebbe portare a vivere emozioni enogastronomiche tutt’altro che prevedibili.

In una serata magica Luigi Rubino, proprietario dell’azienda, e sua moglie Romina hanno svelato la nuova creatura: Palombara Primitivo di Manduria Doc 2019. Questo progetto, nato nella tenuta agricola di Lizzano, nel cuore della Doc di Manduria, è stato il fulcro di una cena pensata in collaborazione con lo chef Domingo Schingaro, che ha portato in tavola tre piatti a cui, a diverse temperature, il Palombara è riuscito a dare spessore. Ogni calice è stata un’occasione per riflettere su quanta strada il Primitivo ha percorso per trasformarsi da uva da taglio in eccellenza in bottiglia e simbolo della Puglia del vino nel mondo.

 

«L’Amarone lo fa l’uomo, il Primitivo lo fa la natura»

 Ma facciamo un passo indietro. Il vigneto di Palombara a Lizzano, nel cuore dell’arco ionico tarantino, è il terroir dove nasce il Palombara Primitivo di Manduria DOC. Qui le uve di Primitivo trovano il loro habitat ideale, grazie alle peculiari condizioni pedoclimatiche del territorio. Tenuta Palombara è stata dedicata interamente all’allevamento del Primitivo: 24 ettari complessivi, dislocati ad un’altitudine di 68 metri s.l.m., di cui 22 sono quelli vitati. Il frutto dell’annata 2019 è stato sintetizzato in 30.000 bottiglie.

Il progetto Palombara è solo l’ultimo tassello dell’importante storytelling del Primitivo (ma non solo) fatto dalla famiglia Rubino negli anni. All’estero uno dei vitigni simbolo della Puglia viene spesso chiamato “baby Amarone”. Ma Luigi Rubino, che ha visto la genesi del fenomeno Primitivo oltre i confini nazionali, ci tiene a precisare: «l’Amarone lo fa l’uomo, il Primitivo lo fa la natura. Ha una caratteristica unica, che dipende dalla maturazione degli acini sulla pianta». L’uomo non può far altro che osservare e non perdere il momento giusto.

 

Primitivo, un lungo cammino

Portare il Primitivo fuori dalla Puglia non è stato facile. «Prima di tutto, dovevamo far capire da che parte dell’Italia da cui venivamo: ancora oggi non è sempre chiaro. Per questo, quando viaggiamo per lavoro, magari in Medioriente, andiamo sempre in giro con delle cartine su cui ci posizioniamo rispetto alle classiche mete dell’enoturismo italiano, raccontando un’Italia diversa, piena di sole e sapori mediterranei. Affascinante perché sconosciuta».

Con circa 150.000 bottiglie prodotte e una quota di export del 60% (che arriva a toccare anche il Giappone), Tenute Rubino ha trasformato gli acquirenti in ambasciatori della Puglia. «La chiave di volta che ha permesso di farci conoscere in contesti internazionali è stato il mix di innovazione, di novità legata al nome del produttore, un’interpretazione del territorio moderno, che guardasse anche all’eleganza, cosa non scontata per quelli che un tempo erano considerati vini da taglio». E Tenute Rubino, il mondo del taglio, non lo ha mai vissuto: è passato dal produrre uva a imbottigliare vino. «Quando abbiamo capito quanto valevano le nostre uve per i nostri acquirenti, presi della passione per il mondo del vino, abbiamo voluto avvicinarci a questo mondo, andando avanti senza paraocchi, soprattutto in termini di interpretazione della vinificazione del Primitivo».

In casa Rubino non si parla, ovviamente, di Primitivo, ma di Primitivi. Anche il lavoro di mappatura e declinazione del vitigno in diverse zone ha reso importante il lavoro fatto dall’azienda con sede a Brindisi. Il lavoro dell’enologo Luca Petrelli è servito a non trasformare le alte gradazioni in uno svantaggio, soprattutto all’estero, portando fuori dai confini un vino di grande corpo in perfetto equilibrio.

 

Vino unico, tre temperature per tre piatti

La cena pensata da Schingaro, Cupertino e la famiglia Rubino ha visto come entreès un uovo croccante morbido, con schiacciata di patate, tartufo e tartare di scampo, accompagnato da un calice di Palombara servito tra 5 e 7 gradi. L’abbinamento è stato pensato per far esprimere al vino il suo animo versatile ed eclettico ed esaltare la freschezza del frutto rosso maturo. La minestra di crostacei e ceci accostata al Palombara servito a 12 gradi, è stato un omaggio succulento di Schingaro e Cupertino al territorio pugliese. Infine due proposte di secondo, una a base di carne di maiale, rucola e melagrana e una a base di pesce con ombrina, salsa alla cacciatora e rapa. Due piatti strutturati, scelti in abbinamento ad un calice di Palombara servito a 18 gradi, per esaltare la rotondità e la morbidezza del vino e i tannini, ampi e seducenti.

 

Il futuro del Primitivo

 Il futuro del Primitivo è in una parola: valorizzazione. Lo ha dimostrato il salto di temperature del Palombara voluto da Cupertino per i piatti di Schingaro. Lo ha testimoniato la bellissima etichetta realizzata dall’artista brindisino Dino Sambiasi. «Così come hanno fatto in Borgogna, Bordeaux, Valpolicella, Montalcino, Barolo, noi dobbiamo essere capaci di poter raccontare le punte qualitative del nostro lavoro e di far innamorare gli appassionati di vino, liberandoli dai pregiudizi con vini di qualità elevata. Ognuno avrà la sua storia da raccontare, il suo stile, ma l’idea di Primitivo non può essere legata a un solo brand. Deve raccogliere produttori piccoli, medi e grandi, per puntare insieme verso un solo obiettivo: valorizzare un territorio, la Puglia, e i suoi prodotti. Sono gli uomini che vedono le intuizioni e si industriano a migliorare le cose. Dobbiamo crederci e fare squadra, anche con le istituzioni. Il bel mare dura tre mesi all’anno. Se leghiamo questo elemento alla enogastronomia, possiamo creare un’attività più stabile in tutti i mesi dell’anno».

 

 

 

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