In un mondo gender fluid viene spontaneo chiedersi che senso abbia un’associazione chiamata “Le Donne del Vino”. Potrebbe sembrare qualcosa di anacronistico, ma invece no, perché in un Paese in cui dopo la pandemia 312mila donne hanno perso il lavoro, forse, un’interfaccia tra il mondo e la politica declinato al femminile potrebbe avere ancora un ruolo interessante.
Ne abbiamo parlato con Marianna Cardone, produttrice vitivinicola, mamma e moglie, impegnata in politica nel suo comune e soprattutto delegata pugliese dell’associazione “Le Donne del Vino” che di fatto ha smontato i pregiudizi e tra progetti e idee cooperazionistiche, ci ha anticipato piani e programmi dell’associazione.
Ha ancora senso avere un’associazione declinata al femminile?
È una domanda che spesso mi faccio e che spesso mi viene posta. Nei diversi anni di mandato alla guida della delegazione pugliese mi sono sentita chiedere se noi ci sentissimo più brave a fare il vino rispetto agli uomini. Molto riduttivo rispetto al ruolo sociale di questa organizzazione. Io ritengo che in un mondo come il nostro in cui stiamo cercando di colmare alcuni grossi gap che ci sono e contro i quali spesso ci imbattiamo, avere un nome sotto il quale ritrovarsi sia importante. Ed è ancora più importante spiegare ciò che facciamo. E non c’entra nulla la bravura rispetto agli uomini, ma il nostro è un invito costante e quotidiano a tutte le donne affinché possano guardare al settore vitivinicolo con maggiore coraggio, amore, passione visto che – è inutile nasconderlo – è ancora oggi molto ad appannaggio degli uomini. Eppure abbiamo moltissimi esempi di grandi donne nel mondo del vino, dalla storia scritta da Pia Berlucchi o Donatella Cinelli Colombini sino a tante giovani leve che inizino a posizionarsi come enologhe. Ed io nel mi ruolo di delegata pugliese ho la fortuna di confrontarmi con i mostri sacri del vino e con l’energia del nuovo che avanza.
Vabbè, ma alla fine qual è il ruolo di questa associazione rispetto alle dinamiche dell’imprenditoria vitivinicola?
L’associazione è nata nell’88 e da allora ad oggi il mondo è cambiato moltissimo. Se un tempo era una associazione in cui ritrovarsi, oggi la nostra presidente nazionale dialoga con i ministri, detta le linee guida per la tutela del lavoro delle donne nel mondo della viticoltura. Ma allo stesso tempo sensibilizziamo la comunità verso temi sociali che travolgono le donne, dai femminicidi al supporto al lavoro fino alla definizione di pari opportunità nei contratti di lavoro.
I dati Istat ci danno una fotografia dell’Italia in cui su 101mila nuovi disoccupati, 99mila sono donne. La pandemia ha allargato il problema della disparità di genere. Cosa dovrebbe fare la politica per accorciare il gap gender?
Sostenere le donne nel mondo del lavoro. L’essere insieme ci consente di monitorare il Paese e di portare all’attenzione della politica i bisogni delle donne che non vogliono rinunciare alla loro vita professionale.
Ad esempio in Puglia si è costituita la Rete delle Donne Costituenti e io ne faccio parte. È un osservatorio importantissimo. E se il lavoro è il tema di confronto e monitoraggio più importante, tutto ciò che campeggia nella cronaca sui giornali ci trova impegnate a cercare possibili soluzioni.
Quando si parla di donne e sviluppo il tema del lavoro è principale, ma a fronte della retorica oggi c’è bisogno di supporto alle famiglie. Una donna che vuol far carriera in un’azienda vitivinicola affronta gli stessi impegni e tempi di lavoro degli uomini ma nel contempo deve badare alla famiglia. Non sempre è facile conciliare i due aspetti.
Qual è la situazione delle donne nel mondo del vino? Esistono ancora ruoli più a vocazione femminile o prettamente più affini agli uomini?
È inutile negarlo, ma è così. Sono ancora pochissime le donne enologo o agronomo o cantiniere. Nonostante finalmente la Puglia abbia un’università di Enologia i numeri ancora oggi non sono a favore delle quote rosa. Devo dire che la mia generazione non ci ha creduto moltissimo, ma con entusiasmo vedo che le nuove leve in molte famiglie di produttori si stanno posizionando anche in ruoli storicamente legati alla figura maschile.
Io credo che un settore in cui le donne possano riuscire meglio sia l’enoturismo. Le donne sono ideali per l’apertura delle porte in cantina, hanno un meccanismo genetico che consente loro di essere trasversali. Per questo in associazione promuoviamo molte attività formative che accompagnano le nostre associate nel perfezionamento di alcune azioni come il public speaking fino alla fitta maglia della comunicazione.
Programmi per il prossimo futuro?
Molti e soprattutto nelle scuole. Con gli Istituti alberghieri vogliamo fare un lavoro di orientamento raccontando il lavoro che si fa in cantina, mentre nelle altre scuole vogliamo parlare della storia del vino. È un progetto ambizioso per il quale possiamo contare sull’aiuto di Pia Berlucchi. Il nostro obiettivo è quello di far appassionare i ragazzi.