Domenico Di Tondo, “Terradimare” e il coraggio di navigare in solitaria

Qualche bicchiere di vino. Una notte insonne. La voglia di provarci, da solo, senza reti se non quelle da pesca. Nasce così Terradimare, il ristorante di Domenico Di Tondo, a Trani, che per la prima volta smette i panni dell’executive e veste quelli di chef patron. Probabilmente avrete sentito parlare di lui per una grande impresa compiuta a partire dal 2018 sulle tavole dello storico e affascinante Le Lampare al Fortino: era arrivato al timone di quella cucina per colmare il vuoto lasciato dalla morte di Raffaele Casale. Ha lenito le ferite, ha affinato la sua arte e poi ha scelto di lanciarsi in questa traversata in solitaria. Ma avere un posto suo era da sempre il sogno inseguito, fin dai tempi dell’esperienza con Aimo Moroni, a Milano.

Per capire da dove viene il coraggio e la perseveranza di un giovane chef che, in piena pandemia, decide di ipotecare il suo futuro e i suoi risparmi in un nuovo ristorante, bisogna fare un passo indietro e andare a spulciare nel suo Dna. Domenico Di Tondo nasce nel 1988, in una famiglia di lavoratori, divisi tra terra e mare. Da parte di padre ci sono i pescatori, temprati dalle tempeste e abituati alle incertezze delle reti, a volte vuote, a volte piene. Da parte di madre ci sono gli agricoltori, consapevoli delle dinamiche della terra e del lavoro che le zolle, avide, richiedono. La domenica, a casa Di Tondo come in tante altre a Trani, c’è anche la pasta al forno o gli spaghetti alla Sangiuannìdde. Domenico sceglie di fare la scuola alberghiera dalla sera alla mattina, guardando La Prova del Cuoco. Nell’immediato, ignora il segnale, ma al momento di fare il militare, sul modulo già firmato da sua madre scrive “alberghiero”. Si diploma a pieni voti e vola a Milano.

Nella città meneghina si forma in uno dei templi della gastronomia italiana, Il Luogo di Aimo e Nadia. Qui cesella il suo talento, condendolo con il bagaglio familiare che ha portato con sé insieme a scarpe e vestiti: umiltà e contagiosa passione. Inizia una contaminazione che Di Tondo porta ancora con sé: quella del lavoro svolto a contatto con chef due stelle Michelin del calibro di Fabio Pisani e Alessandro Negrini. Impara anche ad esercitare le sue capacità imprenditoriali, accettando di gestire il bistrò Lady Bù della famiglia Moroni.

Ma ci sono posti nel mondo che esercitano strani magnetismi: la Puglia è uno di questi. Lo chef pugliese decide di rispondere alla chiamata di Antonio Del Curatolo e di tornare, a casa, a Trani. Qui diventa executive chef de Le Lampare al Fortino: il crudo di mare qui diventa esperienza di fine dining accanto alle eccellenti materie prime del territorio, valorizzate dalla tecnica che Di Tondo ormai padroneggia.

Insieme al lavoro minuzioso e instancabile con la brigata di cucina, in lui si muoveva un sogno: aprire un posto suo, in cui esprimere in tutta la sua forza la passione per il burro di manteca, i ricci di mare, il pesce, tutto quanto, non solo il salmone e il tonno. La possibilità è arrivata anche grazie alla fiducia della famiglia Pastore, imprenditori della ristorazione che hanno fatto la storia della Trani del Gusto. “Mi chiesero se conoscessi qualcuno che volesse rilevare un loro locale – ricorda lo chef – Io, tra un bicchiere di vino e l’altro, ci ho pensato. Non ho dormito quella notte. Il giorno dopo mi sono presentato da loro e ho detto: ho solo il mio talento e le mie idee, ma vorrei provarci da solo per vedere se funzionano”. Così, dalle ceneri di un ristorante stellato di cui è tramontato anche il ricordo, sul Lungomare Cristoforo Colombo Di Tondo ha creato il suo Terradimare.

L’idea di partenza è fare una cucina di mare e non di pesce, come avviene nella maggior parte dei locali della città. La differenza? Quella insegnatagli da suo padre pescatore: valorizzare solo ciò che il mare dà giorno per giorno, senza chiedere altro. Di solito, la cucina di pesce si basa sul tonno o sul salmone, i più richiesti: “Io voglio attingere dai porti delle città e d’intorni: per questo nel menu, alla voce secondo, ho scritto solo Pesce del mercato”.

È possibile mangiare alla carta o scegliere due percorsi degustazione: Terra Maris, con sei portate dedicate agli Statuti Marittimi (65 euro) oppure Arché, proposta a mano libera (75 euro). Ci sono due signature dish che danno contezza del percorso svolto da Di Tondo in questi anni. Uno è servito in un riccio di ceramica, che reca Fusilli fatti a mano, burro di manteca, acciughe e riccio di mare. Il secondo è il Ciambotto, “un piatto che non fa nessuno” e che lo chef tranese propone anche nei mesi estivi perché è in quel momento che la ricchezza ittica a disposizione ne permette l’esecuzione migliore.

Domenico Di Tondo si è buttato in questa avventura, ricercando la contaminazione attraverso la figura di due cavalli di razza pugliesi inseriti in brigata, che vantano esperienze in tutta Europa: Savio Curci e Michele Capocefalo. La sala è tutta al femminile: Anna De Cillis, compagna di Domenico, è la responsabile vini, che lavora spalla a spalla con Deborah, maître di sala e sorella dello chef patron. Il nome, Terradimare, è un omaggio ai suoi due cromosomi familiari, la terra e il mare, ma è anche un augurio: quello di trovare il proprio punto fermo in mezzo al mare incerto del tempo che attraversiamo. Solo l’incrocio tra una donna della terra e un uomo del mare potevano dare vita a un intrepido condottiero che ha deciso di sfidare l’incertezza del contemporaneo con una ristorazione coraggiosa, meticolosa, ma godibilissima.

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